Il Diacono nella Evangelii Gaudium

 

IL DIACONO NELLA EVANGELII GAUDIUM*  
di Gaetano Marino


E’ da tempo che mi soffermo su quanto asserisce papa Francesco che la Chiesa non è una ong, essa trasmette un messaggio. Nella Evangelii Gaudium viene evidenziato che il messaggio in opere e parole costituisce l’umanità della Chiesa, il servizio come dono di un amore più grande, in particolar modo una  sensibilità verso i poveri, la scelta di vivere a fianco di chi presenta bisogni, come risultato di un itinerario di vita. E’ opportuno che questa realtà venga maggiormente interiorizzata per essere vissuta tra quanti incontriamo sul nostro cammino: un’apertura verso se stessi e verso gli altri che porta prima di agire a mettersi in discussione fino ad arrivare a sporcarsi le mani. Sappiamo che il diacono viene ordinato per il servizio, vive in mezzo alla gente, trova il suo specifico nel mondo del lavoro, nella società, nella famiglia e nella comunità parrocchiale, una presenza disponibile che aiuta tanti ad affrontare la vita, in quanto possiede in pectore componenti esperienziali  che lo portano a sentirsi unito a coloro che incontra sulla sua strada, che esprime il suo amore in sintonia con l’amore di Cristo, in quanto è Lui che opera: un consacrato che sa unire amore e donazione, arrivando al cuore della gente, toccando le ferite umane e sociali per allontanare le nuvole che oscurano la coscienza e privano la dignità di tanti. Posso dire che attualmente le parrocchie in cui operiamo sono diventate luoghi di presenza di tantissime persone che non vengono soltanto per problemi spirituali, ma nella stragrande maggioranza dei casi per quelli sociali, economici e familiari. Tante di esse non hanno più fiducia nelle istituzioni, si sentono smarrite, deluse, manifestano un bisogno, per cui bisognerebbe leggere queste situazioni come “segno dei tempi” e, particolarmente, stare attenti che la nostra disponibilità ad ascoltare ed aiutare non arrivi ad essere vista come sostituzione di chi nella società deve garantire il minimo necessario per una vita dignitosa.
Il nostro ruolo di sensibilizzare nell’assoluta discrezione è quello di chi non cerca proselitismi, ma che attraverso la continua presenza, il farsi prossimo a chi manifesta un bisogno, con atteggiamento umile, trasmette fiducia per ricostruire un tessuto lacerato: un percorso che manifesti l’amore di Dio che mediante la croce ci attira  a sè e che vuole operare sanando tutto l’uomo. Il farsi compagno di viaggio, con l’unica certezza che Dio ama con il mio amore, opera con le mie mani e colma i vuoti generati nel percorso esistenziale, non è un aiuto mirato a soddisfare particolari bisogni, ma per ricostruire tutto l’uomo, aiutandolo a vivere le varie fasi della sua vita, un aiuto verso i più deboli considerando che questo punto mette in evidenza  la capacità di aiutare tanti, facendosi prossimo soprattutto nei momenti di dolore, ogni volta che con umiltà andiamo incontro a qualcuno che si sente alienato, combattuto da un bisogno nel condividere le sue sofferenze. Credo fermamente che questo comportamento aiuti a portare la croce stessa di Gesù.
Nella prassi pastorale non dobbiamo mai dimenticare che siamo chiamati a vivere la missione di Cristo in letizia. In questa prospettiva viene superato l’individualismo, un aspetto che facilmente si può manifestare quanto ci si sente troppo sicuri di sé e il personalismo, per questo è opportuno che siano usate strategie che agiscano come segni premonitori, altrimenti c’è il rischio che un lavoro pastorale, svolto in tanti anni, possa da un momento all’altro generare danni, concepire una gravosa perdita di tempo, creando frustrazioni e separazioni verso tanti: vivere una conversione pastorale in missione.
Bisogna anche aggiungere che le povertà non sono soltanto dei residenti, ma anche dei rom, extracomunitari, emigranti che bussano a cui non sempre siamo capaci di dare una risposta se non quella di lenire superficialmente i loro bisogni. Noi abbiamo in eredità la Parola che si annuncia con la vita, Essa è forza e volontà di Dio, non rende deboli, è necessario che l’audacia nel viverla e trasmetterla a tanti diventi un annuncio ed una denuncia contro chi non ama se non se stesso, escludendo gli altri: un’ evangelizzazione viva negli atteggiamenti, nei pensieri, nelle azioni di ogni giorno. 
Da quanto detto, usando le parole del pontefice, la Chiesa è un ospedale da campo e noi non dobbiamo sostituirci a risolvere i problemi sociali, ma essere attraverso la denuncia, il sostegno, il braccio di chi ha perso la propria dignità, come missionari, con un preciso stile che non pretende di far rumore, ma di sensibilizzare ed essere motivo di un riscatto, di una presa di coscienza, in caso contrario, quando ci si lascia prendere dall’emozione del momento, quando si vuole dare una risposta immediata, definitiva, ci si rende conto che si è limitati per cui possono nascere crisi nel diacono per una mancata soluzione dei problemi, per cui bisogna stare molto attenti perché esiste un serio pericolo: la gente non viene educata a vedere e vivere nella Chiesa come una famiglia, ma come un supermercato dove tutto è possibile.
Pur considerando, che ogni bisogno è diverso dall’altro, per poter intervenire attraverso un serio equilibrio è necessario che ci sia un gruppo di persone preposte, che  analizzi e continuamente si porti a monitorare questi bisogni per essere in sintonia con la Chiesa. Il diacono, in questa società, è chiamato a trasmettere un comportamento che è valore di vita e ad educare quanti incontra sul suo cammino per condividere e tutelare l’azione della Chiesa.         

 

*MARINO G., Il diacono nella Evangelii Gaudium, in Il diaconato in Italia, 191(2015), pp. 57-58.