Identità e Spirito di Servizio del Diacono Permanente

IDENTITA’ E SPIRITO DI SERVIZIO DEL
DIACONO PERMANENTE

(Studio teologico-pastorale su “Identità e spirito di servizio del diacono permanente” voluto dal compianto  Mons.  Filippo Strofaldi, Vescovo delegato della conferenza episcopale campana, in occasione dell’incontro di fraternità e di spiritualità dei diaconi della Regione Campania a Pompei, 30 maggio 2003)

 Ci chiediamo, chi è il diacono? Il diacono non è un laico, ma un consacrato che fa parte della gerarchia ecclesiastica. A tal proposito, la Lumen gentium (LG)  n. 28 afferma: “il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi”. Ai diversi gradi di partecipazione al ministero del vescovo corrispondono diversi ordini e conseguentemente una subordinazione diretta del diacono al vescovo, che comprende la collaborazione con i presbiteri, i quali, a loro volta, partecipano al ministero del vescovo, pertanto il diacono fa parte 'pleno jure' della gerarchia dopo il vescovo e il presbitero e “non appartengono al laicato”[1].
Il Decreto, Ad Gentes, promulgato il 7 dicembre 1965 dice: “laddove le Conferenze Episcopali lo riterranno opportuno, si restauri l'ordine diaconale come stato permanente (...) siano conformati e stabilizzati per mezzo dell'imposizione delle mani, che è tradizione apostolica, e siano più saldamente congiunti all'altare, per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale del diaconato”[2].
Il “carattere sacramentale di questo Ordine”, è un aspetto della natura del diaconato, che viene messo in rilievo dai documenti conciliari. Le loro citazioni non destano alcun dubbio che si tratti “di un sacramento, di una ordinazione e di una grazia sacramentale, conferita attraverso l'imposizione delle mani”[3].
Non una semplice delega, come ministro di fatto, “ma una vera consacrazione che lo vede inserito nell'Ordine sacramentale, come stato permanente di vita”[4] che gli imprime un carattere indelebile e non può più teologicamente, ritornare allo stato laicale.
Questo inserimento del diacono nel Ministero ordinato, avviene come partecipazione propria alla sacramentalità non del presbitero, ma dell'episcopato, il quale racchiude la pienezza del Sacramento dell'Ordine ed è esso solo che può trasmettere questo sacramento nella sua pienezza e nelle sue partecipazioni inferiori dei presbiteri e dei diaconi.  La partecipazione sacramentale del diaconato è diversa e ridotta rispetto a quella del presbiterato, ma tuttavia reale; essa si compie come aiuto e assistenza ai vescovi e ai sacerdoti nello svolgimento del loro ministero e come servizio all' intera comunità ecclesiale[5].
Il Concilio Vaticano II definisce il diacono come un ministro del servizio a cui sono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per il ministero”[6], “intende dire che egli pur partecipando nel suo grado del sacerdozio ministeriale, non è tuttavia ordinato a consacrare il corpo e sangue di Cristo e in genere a svolgere l'ufficio di presidenza nell'assemblea liturgica, ma piuttosto a servizio del vescovo, del sacerdote e del popolo cristiano, mediante l'esercizio di determinate funzioni gerarchiche”[7].



[1] RAHNER  K., L’insegnamento del Vaticano II sul diaconato e la sua restaurazione, in AA.VV. Il diaconato nella Chiesa e nel mondo oggi, Padova 1968, p.  350.

[2] Ad gentes, Decreto sull'attività missionaria della Chiesa dal Concilio ecumenico Vaticano II, 7 dicembre 1965, 16 f (d'ora in avanti,abbreviato in A G).

[3] RAHNER  K., art. cit.,p.  352.

[4] ROCCHETTA C.,L’identità del diacono nella preghiera di ordinazione, in AA.VV., Il diaconato permanente, Napoli 1983, p.80.

[5] Cfr. ROCCHETTA C., art. cit., p. 82.

[6] Questa formula è riportata nella Costitutiones Ecclesiae Aegyptiacae la quale è un adattamento della Tradizione Apostolica di Ippolito. Si afferma: non ad sacerdotium, sed ad ministerium Episcopo. Successivamente la formula è passata negli Statuta Ecclesiae antiqua senza il genitivo episcopi; da qui la stessa formula è poi entrata nel Pontificale Romano da dove però è stata soppressa da un decreto della Congregazione dei Riti del 1950. Cfr. ROCCHETTA C., art. cit., p. 82.

[7] GIGARIN G.P., Il diaconato nella lex orandi: “non per il sacerdozio ma per il ministero”, in Il diaconato in Italia, 101-102(1996) p.41.