L’umanesimo coinvolgente del diacono


L’UMANESIMO COINVOLGENTE DEL DIACONO
di Gaetano Marino

Ci sono tanti input da parte della Chiesa che donano esaustivi orientamenti per essere segno e strumento dell’Amore profuso da Dio. Non può passare il Suo amore se non esiste il dono della prossimità, è qui che si gioca la credibilità della Chiesa. Convinti, che per non uniformarsi alla mentalità del mondo, bisogna eliminare le maschere di buonismo ed assumere responsabilmente quelle priorità che oggi si evidenziano maggiormente. Una risposta è leggere, studiare ed operare dove si manifestano, in modo particolare, i “segni dei tempi”. Che  cosa ne è della famiglia? Dei migranti? Del lavoro? Della vita socio-politica? Non penso che manchino modelli per operare, credo che ci voglia il coraggio di una presenza: “Andate, io sarò con voi fino alla consumazione del mondo”.
Dopo questa premessa, è opportuno entrare nello specifico per comprendere la società come vive alla luce della verità di Cristo, avere la precisa volontà di esser presenza accettando le sfide odierne preferendo forme di relazioni che ci aiutino a vivere la missione; vivere un ministero nella Chiesa che senta, avverta, frema per uscire dalla sicurezza delle quattro mura e scoprire che dare un senso alla cristianità vissuta significa solcare nuovi campi che rappresentano la realizzazione, il contagio,   coinvolgendo altre categorie di ministerialità che assimilano, vivono e si portano ad aiutare, a superare gli ostacoli umani mediante un’apertura che lasci presagire una presa di coscienza: un’adesione senza vincoli che non ostacoli ogni rapporto. Il diacono  è chiamato a creare ponti e con la sua solerzia ne fa luogo d’incontro e di dialogo, egli partecipa più direttamente e concretamente ai problemi, alle angosce, alle attese, alle prove della gente in quanto le vive e ne è coinvolto in prima persona. È stato formato per preparare la strada, arriva a farsi prossimo di tanti, è capace di relazioni interpersonali immediate e profonde che la rendono luogo di incontro. A questo punto è opportuno ribadire che come diacono non posso uniformarmi alla mentalità del mondo, per questo voglio anche essere definito “superato” da un pensiero relativista, tutto ciò non mi interessa perché, come consacrato, sono stato  chiamato a farmi dono della presenza di Dio per cui qualsiasi  pensiero o atteggiamento di vita non mi scalfisce più di tanto, sono portato a  relazionare con tutti ed insieme iniziare un cammino che ci ponga l’uno di fronte all’altro per essere nuove creature di Dio. Non è difficile toccare con mano che ci sono realtà che fanno fatica a considerare e vivere l’uscita da se stessi, chi esce dalle sicurezze è vulnerabile e può facilmente sentirsi stanco, offeso, inadatto. Credo che insieme bisogna trovare quelle forme che favoriscano la relazione senza offendere o imputare il dito e non presentarsi come unico credente; mi  viene in mente la parabola del fico infruttuoso, quando il servo dice al suo padrone: “Lascia che io quest’anno ci zappi attorno, gli metta del concime”, parafrasando  l’amore, la fraternità, la pazienza dei tempi dell’altro e  la solidarietà verso ogni forma di povertà. Questa è la base su cui il diacono è chiamato a svolgere la sua missione. E’ assolutamente necessario entrare nella mentalità che insieme si possono superare tanti ostacoli, per cui operando in équipe, dove ognuno abbia qualcosa da condividere e trasmettere agli altri, si può dare inizio a un cammino di fede. Volontà, audacia sono basilari al cambiamento, bisogna essere uomini di preghiera e con piccoli passi stabilire un equilibrio con quanti incontriamo e con le varie attività parrocchiali. Oggi si è anche distratti dai continui messaggi mediatici che  creano confusione  e che non sempre sono veritieri, per cui bisogna avere quella formazione attenta che possa aiutare a saper leggere  le necessità, gli eventi per vivere il dono dell’incontro, evitare ripetizioni, coinvolgendo e creando inquietudine nell’intimo.
Certamente, da principio è faticoso, ma con il tempo coloro che si impegnano sono propensi a vivere la missione come un prezioso invito con cui il Padre ci manda ai fratelli per chiamarli ad accogliere il dono, come condizione della cristianità. Un diacono visto come raffigurazione di Cristo, vero Uomo, che  ama, sempre pronto a dare la vita, non per rispondere ad un ideale, ma per conformarsi a quanto ci è stato insegnato da Nostro  Signore Gesù Cristo. Il diacono, nel suo ministero, incontra sul suo cammino ammalati, poveri, famiglie, e realtà sociali, ricostruisce un tessuto ecclesiale che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa, preferendo e cominciando dai  poveri, lo stesso Cristo li ha affidati a tutta la Chiesa: “I poveri li avete sempre con voi”; quanti padri della Chiesa asseriscono che essi rappresentano un prezioso tesoro, garanzia di salvezza per tutta la comunità ecclesiale, il povero deve essere avvicinato, bisogna fare in modo che riacquisti la sua dignità di essere umano. Nella Chiesa tutto deve essere percepito con spirito di povertà, altrimenti è come combattere contro i mulini a vento. Sono convinto che ogni azione pastorale deve tendere a costruire rapporti di fraternità, dove ognuno pro sua parte partecipi e diventi dono per l’altro. Quante povertà possono essere debellate quando esiste una precisa volontà al bene dell’altro, si pensi al diacono vicino all’ammalato, all’anziano, ecc. la sua relazione diventa luogo di salvezza e luogo teologico, risposta comunitaria dove la condizione di ognuno è condivisa, è nel suo essere comunità che la Chiesa si esprime, vive l’umanesimo come dono e risposta all’amore di Dio

*MARINO G., L’umanesimo coinvolgente del diacono, in Il diaconato in Italia, 192(2015), pp. 47-48.