La famiglia del diacono, incarnazione dell’ecclesialita'

La famiglia del diacono, incarnazione dell’ecclesialità *
di Gaetano Marino

Oggi la famiglia è in crisi, si assiste ad una sua rapida  modificazione di comportamenti in quanto ci sono nuovi modelli sociali che continuamente si innestano nel tessuto familiare determinando non pochi cambiamenti, il tempo non è più recepito come risposta, verifica e garanzia delle scelte fatte e vissute. Ciò è reso ancora più difficile perché si è condizionati dalla continua nascita di nuovi modelli esistenziali, dovuti  non solo all’evoluzione sociale, ma anche a nuove opportunità per vivere da cittadini di tutto il mondo. Questa fase storica comporta la scoperta di nuove povertà, intese come forme che si integrano, non  sempre in modo positivo, nel tessuto familiare; non è la prima volta che esse incidono sulla nostra tradizione.
E’ qui che bisogna riflettere e valorizzare quelle componenti che da sempre ci hanno distinti  nella Chiesa e prima di agire dobbiamo prepararci alla nuova realtà per vivere un confronto che sia rispettoso della vita degli altri, della loro dignità per favorire un cammino insieme che con il tempo diventi percorso di vita, per cui credo che bisogna, necessariamente, puntare sulla crescita di tutta la comunità cristiana, non fermarsi  a frasi fatte, preconcette, che con il tempo diventano scialbe, prive di senso logico. Si auspica quindi un’apertura della famiglia che non sia limitata, ma che alla luce della Parola di Dio viva all’interno della propria comunità, facilitandone l’incontro con altre famiglie che abbiano gli stessi problemi: una famiglia esperta nelle relazioni che diventi segno salvifico del mondo.
A questo punto è opportuno rivalutare il diaconato, prezioso dono dell’intuito dello Spirito. Pur considerando che l’ordine sacro è per il diacono e non per i familiari, egli può operare in un contesto più ampio coinvolgendo i suoi cari, per cui la sua famiglia diventa il fulcro in cui si può manifestare maggiormente l’amore di Dio. Questo è un dono al quale fa seguito un insieme di persone, che possono farsi carico di altre famiglie che hanno gli stessi problemi, in primis manifestando loro il dono dell’accoglienza, aiutando a percepire la capacità di uscire  dall’empasse della vita per sentirsi guariti, perché amati e alla luce del Vangelo puntare sulle risorse personali. Possiamo dire che la testimonianza è di tutti, ma in particolar modo del diacono sposato che insieme alla sua famiglia è chiamato a farsi carico di coloro che si trovano nel bisogno, per cui egli diventa incarnazione dell’ecclesialità come “chiesa domestica”. Lo possiamo riscontrare sull’esempio di Aquila e Priscilla negli Atti degli Apostoli. L’agire della famiglia testimonia come vivere la fede, il senso di amore verso gli altri, come farsi prossimo per rispondere ai bisogni di coloro che incontra sul proprio cammino di vita, per cui il diacono uxorato, esperto di vita socio-familiare con la propria famiglia, diventa felice modello, che si proietta a testimoniare, evangelizzando con  l’apertura  del cuore e della casa. I due protagonisti degli Atti hanno vissuto una precisa identità cristiana, non hanno avuto paura di sporcarsi le mani e con il loro agire hanno permesso la diffusione della Chiesa nel mondo, facendo scaturire una irresistibile forza missionaria. Con lo spirito missionario,  vissuto da Aquila e Priscilla, anche le famiglie dei diaconi, sul loro esempio, permettono di affermare che non ci sono limiti all’amore di Dio, essi, infatti, non esitarono ad allontanarsi dalla propria città per essere fedeli ad una precisa identità  cristiana. 
Come  ieri l’evolversi del cristianesimo ha condotto a costruire spazi specifici per la vita ecclesiale, oggi bisogna riscoprire questo importantissimo insegnamento affinché la famiglia del diacono sia percepita da esempio, come famiglia tipo, che percepisce l’amore di Dio e lo vive attraverso l’altro, aiutandolo e sanando quelle ferite, che se lasciate a se stesse, diventano con il tempo cancrenose. Come Aquila e Priscilla, i quali, vivendo da marito e moglie, hanno contagiato altre famiglie della Chiesa e hanno testimoniato come operando insieme si può essere promotori di amore e testimoni di fede. In questo modo la dimensione matrimoniale e familiare è vissuta come rispetto dell’insieme, come una realtà inscindibile. Questa piccola comunità familiare è linfa vitale per la Chiesa, importante luogo di incontro in cui tutto viene vissuto con grande spirito di libertà e non di possesso. Nessuno è padrone della Chiesa e del Vangelo; questo concetto ha in sé una carica missionaria. Ieri i due coniugi, oggi la famiglia del diacono, vista come promotrice di vita ecclesiale: una vera e propria scelta che la porterà a raggiungere il cuore di tanti, con la  convinzione che  essere cristiani significa aver fiducia in Dio e rispondere ai bisogni di tanti, dare un preciso senso di appartenenza, coinvolgendo se stessi per colmare i diversi vuoti, per creare nuove opportunità di amore che dalla famiglia, piccola chiesa domestica, conducono alla Chiesa madre dove tutto diventa premessa di amore che intercede con la propria vita.
Questa prassi diventa motivo escatologico, stimola ed approfondisce i cardini della ricerca per essere più consoni e disponibili ad aprirsi alla voce di Dio, per farsi modellare da Lui che è presente ed agisce dando opportunità di costruire attraverso l’evangelizzazione la comunità dei credenti, come faro di vita, non per dare una risposta, ma per aiutare a prendere coscienza del momento che si vive.