IL CORAGGIO DI PARLARE*
di Gaetano Marino

 Non è la prima volta che la lettura di eventi socio-familiari cambiano il nostro modo di pensare, di agire. In questo tempo, diversi cambiamenti sociali sono favoriti dall’evoluzione dei sistemi informatici che velocizzano la conoscenza di fatti, coinvolgendo tutti e strumentalizzando la crescita individuale e collettiva per fini specifici, per cui bisogna sempre vegliare, difendersi per non essere coinvolti in piani prestabiliti e studiati da chi vuole appiattire la cultura umana e sociale oscurando il dettato propostoci dalla Chiesa.
Il sommo pontefice ha ritenuto importante  proclamare l’anno della Misericordia per darci la possibilità di fare chiarezza  in noi stessi per modificare il nostro atteggiamento nei confronti di quanti incontriamo sul nostro cammino: una profonda lettura, un’esperienza di vita che deve aiutarci a capire che ci sono valori che vanno condivisi con tanti e, che continuamente hanno bisogno di essere rivisti, ricercati, portati alla luce della fede facendo spazio nella propria vita agli altri; il bisogno di amare per essere amati, avere un cuore consapevole delle proprie miserie, asserire e credere che è l’amore che condiziona la nostra e l’altrui vita.
Forse questo non è relazionarsi con Dio che ama con il mio amore, che opera con le mie mani? La figura di noi diaconi, profeti di Misericordia, può essere stimolo per gli altri a cambiare  vita. Ma cosa significa profezia diaconale? Il profeta è colui che ha il coraggio di parlare senza cedere a compromessi o ad accomodamenti personali; questo esercizio profetico lo vive, anzitutto, negli ambiti di vita: scuola, lavoro, famiglia. Essere profeti di  Misericordia significa annunciare la giustizia perché nella S. Scrittura la Misericordia e la giustizia camminano di pari passo. Attraverso questo annuncio, il diacono è capace di cogliere le difficoltà e di portare il dono della Misericordia di Dio nelle situazioni di marginalità dove si possono leggere tanti “bisogni”: fame di giustizia, di conoscenza, di etica.
Si pensi all’incerta situazione della mancanza di lavoro, del precariato, che causano profonde ferite, in particolar modo, bisogna stare attenti ai giovani che sono i più vulnerabili e rappresentano il futuro, la continuazione  della società odierna  affinché non perdano la speranza nel proprio domani, superando l’incertezza, ed avendo, invece, fiducia nelle istituzioni che attuando piani educativi diano la possibilità  di un lavoro per tutti. E’ necessario essere guardinghi verso coloro che procurano disagi, che pensano solo a se stessi creando malesseri nella collettività e instabilità  rendendo difficile la comune convivenza. La mancanza di lavoro e la difficoltà ad accettare una condizione precaria coinvolge la stragrande parte di giovani e diventa deleteria per persone in avanzata età, non più giovanile e favoriscono disuguaglianze socio-economiche  per cui il futuro diventa sempre più incerto.
Nell’universo della scuola mi sembra leggere la crescita di un diaframma tra il mondo giovanile e mondo adulto. Troppe cose sono scontate, tutto rientra nell’avere. Mi pongo una domanda: i giovani ricevono gli input necessari per prendere coscienza che non tutto è dovuto, scontato, che ogni cosa parte da un serio impegno personale e il proprio avvenire lo si costruisce insieme con fatica, corresponsabilità, mediante la scoperta di valori che coinvolgono tutta la persona fino a tracciare linee programmatiche per una società più giusta a misura d’uomo? Mai lasciare nei giovani segni di incertezza sociale che non portano ad una crescita, infatti li allontanano dalla realtà, offuscando la loro visuale, il loro agire. Bisogna essere capaci di dare ad essi le basi necessarie e indispensabili per un futuro migliore, per crescere insieme, per scoprirsi padre e madre; non lasciarli mai a se stessi, soffrendo con loro, facendosi solidali nella vita.
La scuola deve dare gli elementi necessari e indispensabili affinché i giovani possano avere un’istruzione che miri non solo ad allargare gli orizzonti conoscitivi, ma anche a prendere coscienza del loro avvenire e i genitori non devono ostacolare, come spesso accade, la formazione in questa direzione. La scuola e la famiglia devono essere unite per garantire il futuro, come percorso di vita. La famiglia oggi è bersagliata da tante parti, vive forti preoccupazioni, considerando che ogni progresso sociale comporta un regresso, non è facile cambiare modi di vita da una generazione  all’altra, il tempo è garante di tale necessità. La famiglia viene mortificata. Quante famiglie ferite: si pensi alle facili separazioni, divorzi, convivenze.
Queste realtà procurano ritorsioni tra adulti, problemi affettivi e psicologici nei minori che si porteranno queste ferite per tutta la loro vita  che se non curate, tempestivamente, potranno facilmente, diventare cancrenose fino a creare soggetti fragili ed insicuri. Credo, fermamente, che noi diaconi oggi, dovremmo essere respiro di chi affanna nella vita, solidali con chi soffre, presenza dove si avverte la solitudine, l’abbandono, l’egoismo, la cattiveria, testimoniando con elementi di apertura, di speranza in nome di Dio. Il diacono, essendo sposato ed avendo una famiglia propria ha una visuale più ampia, sa come mettersi in gioco, è capace di sporcarsi le mani valutando i reali problemi: un consacrato che ha  il coraggio di parlare, di denunciare per testimoniare concretamente il disagio di tanti che vengono mortificati dall’egoismo di pochi, considerando che la Misericordia senza giustizia non è Misericordia, è semplice giustizialismo.
*MARINO G., Il coraggio di parlare, in Il diaconato in Italia, 197/198(2016), pp. 87-88.