I diaconi a servizio degli stranieri

I diaconi a servizio degli stranieri*

di Gaetano Marino

Gli stranieri arrivano in Italia decimati nella loro condizione familiare (o senza figli o senza mogli, senza genitori) e, talvolta,  con la drammatica esperienza della morte di qualche membro della famiglia. Di fronte a questa situazione, il  diacono oltre all’accoglienza deve offrire una competenza in ambito familiare che gli deriva non, esclusivamente da una competenza teologico-pastorale, ma dalla sua capacità di armonizzare nella sua vita spirituale il sacramento dell’ordine con quello del matrimonio. 

Oggi, ci troviamo di fronte ad un esodo di massa, interi popoli cercano quella sicurezza a loro negata, per cui si spostano mettendosi in gioco, con il rischio di non arrivare mai, di soccombere dove nessuno domani li potrà piangere. Tutto diventa oscuro, nella persona c’è una forza che spinge a guardare avanti, a dare quell’input che garantisca la sfida. Su questo potremmo dire tante cose, chi soffre è colui che viene privato della sua dignità, capace di superare ogni violenza per crearsi un avvenire. Se guardiamo al passato ci sono stati tanti esodi, ma oggi, in particolar modo, ciò che sta accadendo mina l’uomo, rendendolo debole, privo della sua vivacità, della sua speranza.

Possiamo dire con l’occhio della fede che è un “segno dei tempi” per cui non è possibile fare un semplice commento, ma è necessario relazionarsi  con l’altro e noi diaconi siamo interpellati a dare questa preziosa presenza come risposta alla chiamata di Dio con un “si”, che sia stile di vita. Il diacono non è consacrato solo per la liturgia, ma per farsi prossimo, per cui il suo agire deve diventare preghiera, strada che conduce al cuore di Dio, risposta al  dono ricevuto senza merito perché è Cristo che mi ha chiamato ed è Lui ad operare attraverso di me.

Questa è la più bella liturgia: farsi presenza, prossimo; la risposta al  “si” quotidiano. La relazione, quindi, è l’aspetto primario che va attuato, dopo aver letto in che modo potersi promuovere. Ci sono differenti situazioni che chiedono una dinamica di approccio: si pensi alla presenza di famiglie intere che manifestano l’esigenza di essere accolte, integrate, rispettate, guarite da profonde ferite socio-familiari, aiutate nel contesto sociale. Non si tratta di una semplice presenza per proseguire poi per altre città o nazioni, bisogna  ricostruire un tessuto sociale che è stato lacerato, offeso, partendo dalla base, creando luoghi che siano oasi di sicurezza, che diano la possibilità di potersi integrare per iniziare un preciso percorso di vita che nel tempo diventa modello di comportamento, capace di farsi strada con una precisa volontà di disponibilità e di apertura alla cultura che trovano, pur rispettando la propria, affinché possano sentirsi parte di una famiglia più grande.

Inoltre, ci sono delle presenze di una sola parte di famiglia che è stata traumatizzata  per violenza, per uccisioni di  persone care. Quanti giovani scappano dalle loro terre per non essere uccisi, violentati o perché non accettano di essere sottoposti a continui abusi, per la paura della guerra, del terrorismo, delle rappresaglie, della dittatura, della facile uccisione! Si rifletta anche sulla presenza di minori, di bambini soli, scioccati che hanno necessità di essere integrati in famiglie aperte ed esperte perché non basta la buona volontà, ci vuole una costante presenza che dia loro quell’abbraccio di vita che è venuto meno fino a cancellare le violenze subite.

In questo contesto il diacono italiano in quali spazi può muoversi ed agire? Certo, egli comprende e riflette una mentalità familiare, percepisce in maniera reale il bisogno di quanti non hanno niente su cui poggiarsi. E’ palese leggere dal volto degli stranieri la disperazione di chi fino ad ieri aveva una casa, una famiglia, un lavoro, una sicurezza. Credo che il diacono debba fare un passo avanti per dare una risposta che sia tale da garantire la sua maturità sacramentale a chi vive questo aspetto traumatico. Mi pongo delle domande: in questa società così formale quali sono gli ambiti in cui posso intervenire? Credo che ci voglia un tipo di  solidarietà che sia la  risposta al forte disagio, non serve la timida presenza o volontà, è necessario essere coinvolti per vivere la diaconia dell’amore, del servizio, solo così possiamo dire che l’agire dei diaconi è accoglienza e non assistenzialismo, una vera missione, una testimonianza capace di  coinvolgere tanti altri che fanno parte della società, della chiesa.

 

*MARINO G., I diaconi a servizio degli stranieri, in Il diaconato in Italia,   204(2017), pp. 42-43.