L’esperienza della cura

L’esperienza della cura*

di Gaetano Marino

Quando gli Apostoli sentono la necessità di ordinare i primi sette diaconi scelgono sette uomini di comprovata reputazione, saggezza,  lasciandosi guidare proprio dall’esperienza della “cura”. Questo termine, profondamente dibattuto nell’ambito della filosofia esistenziale da Edgar ai nostri giorni, traduce la compassione di Gesù, così come viene espressa nella parabola del “Buon Samaritano”. Il Buon Samaritano non è solo colui che si prende cura del malcapitato, ma lo stesso albergatore; questo ci induce a pensare che la compassione  va estesa non solo ai malati e ai bisognosi, ma anche a coloro che si prendono cura di questi ultimi: “dottori, infermieri, personale paramedico, familiari, amici e parenti”: una pastorale non limitata solo al sofferente, ma che coinvolga tutti. Nasce la necessità di leggere il tema “cura” nella dimensione totale e di riformulare l’intera pastorale del malato, di creare una sensibilità  che dia la possibilità di relazionarsi e di preferire la linea dell’insieme. Questo ministero porta alla ricerca non solo di cure spirituali per gli infermi, ma sensibilizza e incide nel vissuto della comunità.

Usandole parole di papa Benedetto XVI, tutti possono diventare buoni samaritani, in modo particolare, coloro che sono stati toccati dalla malattia e dalla sofferenza. Il diacono, espressione dell’incarnazione dell’Amore di Dio nel servizio,  è colui che deve essere convinto di ciò che fa affinché il suo servizio diventi dono. Inoltre, è necessario avere le idee chiare, oggi non è più il tempo di sforzi solitari, credo che sia giunto il momento di “operare insieme” per servire la Chiesa. E’ Gesù che ci insegna ad agire, l’azione di Cristo diventa l’azione della Chiesa che coinvolge non solo chi è insignito dell’Ordine Sacro, ma anche tanti laici: un prezioso passo avanti che chiama a rispondere al dettato di amore, trasmessoci da Cristo Nostro Signore, un richiamo a vivere nel rispetto delle singole realtà.  

La parabola del Buon Samaritano ci riporta una serie di immagini che troviamo nella vita quotidiana e ci insegna il modo come comportarci nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, per cui l’incontro e la solidarietà con i sofferenti ci richiede  un cammino  di conversione continua. La Chiesa nasce e si consolida dove si è disposti ad accogliere gli altri, nel farsi prossimo, nel prendersi cura. Oggi si assiste ad una scristianizzazione continua, tanti fedeli sono distratti da molte cose per cui vivono, raramente, la presenza in parrocchia, preferendo altre strade: un fenomeno noto che, certamente, non è nato da un giorno all’altro. A questo bisogna aggiungere  che in tanti cattolici vige l’avversione allo stare insieme, preferendo forme di individualismo, il fare da sé, svuotando il senso dell’amore fraterno, della solidarietà, del sacramento dell’incontro, pertanto, servono nuove forme di evangelizzazione, nuovi stimoli che portino a rivivere l’importanza della presenza in parrocchia, riconoscendola luogo privilegiato di formazione e di vita cristiana. E’ importante uscire dalle  mura parrocchiali per andare incontro alla gente nei luoghi dove abita, lavora, vive  affinché prenda coscienza dell’appartenenza alla Chiesa. Il diacono, ministro sacro, è chiamato ad esercitare questa fermentazione evangelica e caritativa. La pastorale dell’ammalato incide su tutta la comunità ecclesiale i cui soggetti sono i malati e tutti coloro che sono coinvolti nel campo della sofferenza. Questo comportamento deve rientrare in un preciso cammino di crescita fino a mettere in discussione il  nostro modo di pensare, riconoscere le nostre povertà fino a cambiare qualcosa nel nostro comportamento. E’ importante che nulla vada fatto con insistenza, ma che sia finalizzato a migliorare  i rapporti tra i vari carismi. Quest’agire diventa espressione di una missione al fine di mettere in essere forme pastorali più incisive per il nostro tempo, bisognerebbe attuare una integrazione che richiami alla fraternità, un modo intelligente per coinvolgere diverse categorie di persone; un’occasione che porta ad intraprendere un cammino di responsabilità in cui la gente si senta valorizzata, amata, al centro dell’attenzione, partecipe, capace di suscitare interesse: un’azione  pastorale che  incida sulla persona, attenta ai reali bisogni, superando le chiusure che minimizzano l’incontro. La chiusura porta ad allontanarsi dalle persone, ad  avere la possibilità di avvicinarsi a loro. Ricevere delle risposte significa scavare nuovi pozzi di aiuto, di crescita, di futuro; una sanatio delle ferite, una ricostruzione di un tessuto di fede alla luce dell’insieme, che coinvolga non soltanto l’ammalato, ma tutti coloro che si lasciano toccare dalle ferite altrui, da qui l’importanza di una pastorale integrata che favorisca la missione, una riscoperta dell’équipe per creare ponti di collaborazione tra comunità ospedaliera e comunità territoriali, tra le diverse comunità parrocchiali.

*MARINO G., L’esperienza della cura, in Il diaconato in Italia,   205(2017), pp. 41-42