LO STATO DEL DIACONATO NELLA CHIESA ITALIANA - Pag 2

mondo dopo Brasile e gli Stati Uniti. Da tempo e soprattutto dopo il documento della CEI del 1993 (I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme = ON), ma soprattutto dopo la pubblicazione dei Direttori delle Congregazioni, molte diocesi hanno pubblicato o adeguato un apposito “Direttorio” destinato a tradurre disposizioni e indicazioni dei testi magisteriali in rapporto alle situazioni ed alle istanze locali. Per quanto riguarda i dati generali, l’87,41% è costituito da diaconi coniugati, i celibi sono appena l’8,42%, vedovi lo 0,35% e i diaconi religiosi lo 0,82%. Nei candidati diminuiscono ancora i celibi e i religiosi costituendo i primi il 7,21% e i secondi lo 0,15%. I pensionati costituiscono il 35,19%, il che sta a dire che l’età media dei diaconi è inferiore all’età media dei presbiteri. Notevole è il livello di cultura generale: ciò si rileva dai titoli di studio il 25,40% di media inferiore, il 54,19% di media superiore, il 20,41% di laurea. Interessante è anche la scala delle professioni: al primo posto è la categoria degli impiegati con il 32,69%, seguono gli insegnanti con l’11,18%, i professionisti con il 6,67% (si comprende la percentuale esigua), gli operai con il 5,57%, gli imprenditori con il 3,43%, i commercianti con il 3,29%, i militari con l’1,43%. Ci sono anche i disoccupati con lo 0,64%. Per la formazione dei diaconi è assicurato dappertutto il tempo di propedeutica, tempo dedicato particolarmente al primo discernimento. Circa la durata di tale tempo per il 71% delle diocesi risulta di un anno, per il 21% di due anni, per un restante 8% il tempo varia secondo le condizioni degli aspiranti. Quanto invece al tempo di formazione nella triplice dimensione spirituale, teologica, pastorale risulta per il 44% di tre anni (oltre il tempo propedeutico), per il 39% di quattro anni, per il restante 17% di un numero vario di anni che vanno dai cinque fino agli otto. Responsabili della formazione sono il Delegato vescovile per il diaconato permanente presente in quasi tutte le diocesi, affiancato per il 22% dal direttore per la formazione e/o da un gruppo di formatori (59%) dei quali per oltre il 20% fanno parte gli stessi diaconi. Il rito della candidatura degli aspiranti al diaconato permanente nella maggior parte delle diocesi si fa subito dopo il periodo propedeutico, ma in trentuno di esse si attende la conclusione del corso teologico o dopo che gli aspiranti hanno ricevuto i ministeri del lettorato e dell’accolitato per un più sicuro discernimento. Le spose dei candidati sono dappertutto coinvolte nel cammino formativo ma variamente e non sembra sempre sufficientemente. I diaconi permanenti esercitano il loro ministero prevalentemente nelle parrocchie per il 71,66%; il 15,48% è costituito da un servizio diocesano; il 9,13% da un servizio interparrocchiale (vicaria, zona); appena il 3,73% all’interno di gruppi e movimenti. È interessante notare che molti diaconi sono al servizio di parrocchie dove non risiede più il presbitero-parroco. Solo il 14,26% svolgono un servizio a tempo pieno; l’83,42% svolgono un servizio a tempo parziale e il 2,32% un servizio saltuario. Attualmente il ministero diaconale è sbilanciato sulla Liturgia con il 43,9 %, segue la carità con il 29,6%, per ultimo viene l’annuncio e la catechesi con il 26,5%. Per quanto riguarda l’ambito della carità l’impegno nel sociale occupa appena il 4,13% e quello nel sindacato e politica lo 0,90%.
Si registra, pertanto, un significativo movimento di evoluzione che oggi ha raggiunto la totalità delle chiese locali. Si può certamente affermare che questa situazione di crescita evidenzia sia la novità che la ricchezza di grazia dell’evento diaconale nella realtà ecclesiale italiana, e spinge quanti sono chiamati al diaconato a farsi sempre più consapevoli del valore pregnante della loro presenza e del loro ministero, al fine di dare nuovo slancio alla crescita delle nostre chiese – come dicono i vescovi italiani – nella linea di una comunione profonda e di un dinamismo missionario più incisivo, con la generosa valorizzazione di tutti i doni dello Spirito del Signore Risorto.
Al di là dei numeri, mi sembra interessante adottare, però, uno strumento di indagine in grado di andare oltre le cosiddette evidenze statistiche e fare invece una ricognizione agile e sintetica degli stili diaconali emergenti che di fatto hanno caratterizzato, a livello di progettualità e di concreta ministerialità, il cammino ecclesiale dei diaconi nelle nostre comunità. Cioè evidenziare quei tratti ricorrenti e quei problemi emergenti che, in questi quarant'anni e più di ministero diaconale, sembrano contraddistinguere la diaconia ordinata. Ma è necessario ancora fare qualche precisazione. Uno sguardo ravvicinato alla pastorale delle Chiese locali svela come questo ministero non si presenti in forma omogenea, ma piuttosto con una varietà di realizzazioni che, più che risolversi in mera diversità di metodi ed itinerari, sottende invece proprio concezioni diverse del