LO STATO DEL DIACONATO NELLA CHIESA ITALIANA - Pag. 8

non hanno relazione alcuna con la diaconia eucaristica. Accanto alla diaconia liturgica, colta nella inseparabilità alla mensa della parola e del pane, si è notato con frequenza un certo presenzialismo rituale, più attento al formalismo delle sacre cerimonie che realmente partecipe del mistero liturgico. Accanto alla diaconia liturgica della Parola non si è visto normalmente alcuna opera di evangelizzazione o di catechesi da compiere nei punti caldi e nelle zone di confine della vita ecclesiale. Complessivamente si potrebbe avere la sensazione di una influente presenza diaconale nel contesto delle chiese, anche se in alcune situazioni sarebbe più giusto parlare di una sistematica assenza del ministero diaconale. Altro aspetto, possiamo dire problematico, è la caratterizzazione che in questi anni si è data alla figura del diacono come “ponte” fra il popolo e la gerarchia, con il pericolo che si moltiplichino le istanze di mediazione invece di far crescere lo spirito di comunione, così il diacono - quale ministro sacramentalmente dotato - è chiamato ad esercitare la sua evangelizzazione nel mondo proprio per la sua condizione di uomo del “relazionato sociale”. Ma nello stesso tempo, quale ministero fortemente estroverso, egli è segnato prioritariamente dal servizio da rendere alla vita interna della comunità, che il diacono realizza liturgicamente. Anche se in questo contesto non si ha modo di approfondire le cause di questo disagio, mi pare si possa dire che sono riconducibili a tre irrisolti e ben precisi nodi ecclesiali: 1. Ignoranza o scarsa conoscenza di una teologia della ministerialità ordinata e del sacerdozio comune dei fedeli; 2. Inadeguati e difformi criteri di discernimento vocazionale alla diaconia; 3. Confusa e improvvida collocazione del ministero diaconale all'interno di una conduzione pastorale spesso guidata da esigenze prammatiche. Da questi nodi mi sembra derivino tutte le altre problematiche attuali che sono state, e sono, oggetto di riflessione, di studio: dalla formazione teologica, alla relazione con i movimenti ecclesiali oggi emergenti; dalle concrete forme di esercizio del ministero, al complesso rapporto con i presbiteri; dalle modalità di una effettiva formazione permanente; al ruolo della famiglia e del sacramento del matrimonio in ordine alla vita ministeriale dei diaconi uxorati.
Quale speranze?
Quali, dunque, le prospettive e le speranze? Un dato interessante da valorizzare e su cui riflettere è che il ripristino del diaconato chiama in causa e coinvolge le quattro Costituzioni del Concilio. Sulla base di questa istanza, bisogna inquadrare il ministero del diacono sia dal punto di vista teologico che pastorale facendo riferimento: a) L’ecclesiologia di comunione; b) La centralità della Chiesa locale; c) La priorità dell’evangelizzazione; d) La “logica” dell’Incarnazione; e) Il primato dell’Eucaristia. Se il principio unificante e la chiave ermeneutica di tutto il Magistero conciliare è l’ecclesiologia di comunione, sembra alquanto interessante pensare il ripristino del diaconato come un banco di prova per questo corale esame di coscienza che consentirà, nelle nostre chiese, di allargare l’orizzonte all’intera vita e missione della Chiesa in questo nostro tempo. Ne risulta, come prima istanza, la necessità di far maturare nelle comunità la consapevolezza della sinodalità che si traduce nella partecipazione e nella corresponsabilità a tutti i livelli e nelle sue diverse forme. Contesto idoneo alle vocazioni al diaconato è – dicono i vescovi italiani - ...una Chiesa intenta a discernere le vie per le quali il Signore la chiama a sostenere le responsabilità del Vangelo, a vivere e manifestare il mistero della comunione, a tradurre in opere e istituzioni le premure della carità e i diversi servizi pastorali (ON, n. 10).
Un secondo punto di riferimento, strettamente legato al precedente, riguarda la centralità che, nell'esercizio dei ministeri, acquista la Chiesa locale e particolare. Anzitutto lo stretto rapporto che il Vescovo deve instaurare con i suoi diaconi e questi devono avere con lui: un rapporto di comunione, permeato di obbedienza, che dalla persona del Vescovo si deve estendere anche al progetto pastorale della diocesi; un rapporto inoltre, da parte del Vescovo, di ascolto e di dialogo intorno alle istanze e agli impegni prioritari di carattere diocesano, visto che il diacono è "l'occhio, l'orecchio e la bocca del Vescovo" secondo la felice espressione della "Didascalia degli Apostoli". In questa prospettiva si può anche comprendere che la parrocchia, di per sé, non è l'ambito proprio del ministero diaconale se non in via eccezionale e/o quindi transitoria. Questo anche per evitare che il diacono venga considerato una sorte di "vice-parroco" o di ministro dimezzato.