Il diacono in cammino tra santità e missionarietà

Il diacono in cammino tra santità e missionarietà

di Gaetano Marino*

Papa Francesco nell’ enciclica Gaudete et exsultate presenta la santità nella sua normalità, sgombrando il campo da tanta falsa spiritualità, da una visione di santità lontana dalla vita quotidiana, e indica le beatitudini come modello su cui basare la vita. La nota definizione: “la carità della porta accanto” può essere felicemente accostata anche al ministero diaconale.
In fondo il diacono è l’uomo della porta accanto, colui che con discrezione e riservatezza, con garbo e cordialità si pone secondo l’icona biblica dei discepoli di Emmausaccanto al cammino di ogni uomo e di ogni donna con un passo indietro perché il suo scopo è quello di fare emergere   la fragilità e le attese, la gioia e la speranza degli uomini di oggi mentre annuncia la Parola  e si fa uomo di carità: è in questo porsi accanto che il diacono vive non solo la sua esperienza di santità, ma diventa immagine della chiesa e trova la sua identità più vera e profonda nella dimensione missionaria ed evangelizzatrice. La santità genera la missione, la missione rende santi.
La missione non nasce da un momento all’altro, bisogna avere sempre quella spinta di incontrare l’uomo nella sua specifica realtà, quando poi determina un cammino, un coinvolgimento, un percorso che porta verso l’altro è necessario che il diacono sia un uomo di fede, che trovi le risposte alla sua chiamata nell’altro, con l’altro e per l’altro; che risponda con serietà, uscendo dalle proprie paure, dalle proprie insicurezze, da se stesso. Senza la presenza degli altri il diacono è limitato, condizionato, ma non deve   rimanere intrappolato in se stesso, ma portarsi verso l’altro ed essere convinto che il Signore è presente e che non lo lascia mai solo e con il suo “si” quotidiano può incamminarsi e costruire un ponte attraverso la conoscenza.
La parola chiave è uscire da ogni forma di impasse: oggi, in particolar modo, il pontefice, i vescovi, continuamente richiamano a questa presa di coscienza.  Da questo scaturisce che le varie risposte lo coinvolgono, per cui il tempo diventa sanante e la missione lo porta ad una apertura mentale. Quando si parla di missione non si tratta di qualcosa di metaforico, lontana dall’essere coinvolti, ma si esercita una risposta alla chiamata nella misura in cui si è disposti a sporcarsi le mani, solo così e facendo un percorso insieme a tanti, deve conoscere ed essere conosciuto da fratelli e sorelle. Bisogna avere la possibilità di guardarli negli occhi così da poter leggere ciò che vivono, parlare, ascoltare, comunicare l’amore di Dio; trasmettere una realtà che potrebbe anche essere rifiutata. Se vuole entrare nella sua vita deve essere capace di cambiare prima se stesso. Il diacono è colui che apre il cuore dove c’è necessità, colma i vuoti laddove è possibile, porta a valorizzare la persona e coinvolge altre, sia della famiglia che della parrocchia: una presenza che porta un cambiamento; una manifestazione dell’amore di Dio, che porta a dare agli altri la possibilità, nonostante infermi o altro, a vivere la gioia del dono.
Egli si fa garante di tutto ciò nella convinzione che la comunità tutta riceva grazie su grazie; un tesoro che non si esaurisce, anzi se donato a tanti, certamente, fa percepire la crescita dell’intera comunità. Se il diacono vive il senso missionario, anche i fedeli con cui ha avuto contatti cambieranno qualcosa nella loro vita, nel loro ambiente, perché avranno potuto conoscere un altro modo di pensare Dio. Di fronte alle malattie, alla solitudine, alla sofferenza che porta a deprimersi, a chiudersi, ad invocare la morte, può emergere la consapevolezza che non è Dio che manda le malattie.
Oggi, ci sono tanti luoghi e opportunità per vivere la missione, per esempio la benedizione delle famiglie nelle case, malgrado sia talvolta considerata un retaggio del passato o si pensi che la gente sia poco propensa, poco disponibile: certamente, non bisogna fermarsi, la costanza nel tempo e non nell’immediato, porterà molti frutti. Innanzitutto, il diacono, non può fare tutto da solo, deve avere dei collaboratori. Quando si va per la benedizione delle famiglie nelle case si apre un mondo che tante volte è sconosciuto, il fermarsi pochi minuti, talvolta, condiziona, ma se con garbo, senza appesantire, molte realtà possono essere vissute attraverso una presenza. Si pensi a quanti ammalati si trovano nelle case che non partecipano alla S. Messa e che mediante il ministro straordinario dell’Eucaristia possono ricevere il sacramento: anziani, ammalati, persone sole. La cura degli infermi è molto esercitata, come servizio, dai diaconi, che attraverso la Parola, la consolazione e l’ascolto preparano il terreno al presbitero per la Confessione e l’Unzione degli infermi. Necessaria è la collaborazione di laici preparati a stare vicino gli infermi, in particolare i ministri straordinari della Comunione. Uomini, anche loro, in missione.  

 *MARINO G., Il diacono in cammino tra santità e missionarietà, in Il diaconato in Italia, 217(2019), pp. 31-32.