La santità diaconale attraverso le beatitudini

La santità diaconale attraverso le beatitudini

di Gaetano Marino*

Le beatitudini hanno in sé una duplice valenza, sviluppano un percorso spirituale interiore e un cammino di carattere sociale e pastorale. Da un punto di vista interiore sono un richiamo per la consacrazione diaconale a quei valori che costituiscono l’identità stessa del diaconato: la povertà spirituale senza di cui il diacono diventa pieno di sé e incapace di far emergere la grazia sacramentale; la compassione se i diaconi sono stati scelti, come si legge negli atti degli apostoli, per accogliere e accudire i poveri, sono chiamati a vivere empaticamente tutte le condizioni di marginalità del nostro tempo. L’empatia, non come condizione sentimentale ed emozionale, ma come compartecipazione al mandato sacramentale; la misericordia, il diacono in tutte le sue azioni liturgiche sacramentali e pastorali deve far emergere il valore supremo dell’amore di Dio, così come si legge nell’inno alla carità di san Paolo.
Da un punto di vista sociale le beatitudini costituiscono quasi un programma dell’impegno nelle realtà del mondo del diacono. L’attenzione alla giustizia passa attraverso il dovere di essere testimone di legalità sempre, in ogni circostanza. La dimensione della pace si manifesta nella volontà del diacono di superare tutti i conflitti umani, a partire dalla famiglia. Infine, la purezza dei cuori fa del diacono, uomo sposato, esempio di come coniugare la sfera familiare nel mondo e nella chiesa diventando anche testimone e, laddove è necessario, accompagnatore e custode di situazioni che, talvolta, si rivelano drammatiche per la vita delle persone.

Povertà spirituale
Premesso che il diacono non è un professionista del sacro, ma un consacrato al servizio dei poveri che sono presenti in tutti gli ambienti, dobbiamo affermare che viviamo in una società opulenta, dove è molto facile smarrirsi, seguire una strada individuale che ci allontanadall’insieme perché purtroppo, oggi, ci sono riempitivi socio-familiari che tolgono alla persona la capacità di essere se stessi. Se Cristo è pane di vita anche noi che siamo stati chiamati senza merito alla Sua sequela dobbiamo sentirci coinvolti, lasciando nell’altro qualcosa che rende presente l’assente, ricordandoci che non possiamo fare tutto, ma quel poco che dia senso di vita al grido del povero, dell’ammalato, dell’abbandonato, del solo ecc. perché si sentano amati, accolti, riconosciuti come persone. Quando si ha una conoscenza delle proprie povertà spirituali si vive la trasmissione di questo dono. Il senso delle beatitudini, in particolar modo ciò che è riportato in Mt.5,8 “puri di cuore, perché vedranno Dio”; Mc. 10,21 “una cosa sola ti manca: va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi”.
La compassione e la misericordia vanno di pari passo. “Soffrire con” non è avere pietà, ma lasciarsi toccare dalle ferite altrui. Non serve il buon senso, bisogna sapersi mettere di fronte agli altri ed entrare con prudenza e delicatezza nella loro vita. Per questo bisogna spersonalizzarsi per poter comprendere il grido di aiuto, immedesimarsi, toccare con mano per balbettare qualcosa che dia calore, solidarietà, saper soffrire con chi soffre, capire il perché di tanti gesti ostili che danneggiano se stessi e gli altri, dallo sguardo, dall’ascolto silenzioso, amare perché tutti e nessuno escluso merita di essere messo da parte.
Nascono degli interrogativi: Cosa è mancato nella vita di questa persona? Che cosa come diacono posso fare? Scegliere la via della chiusura oppure quella dell’amore? Devo cominciare a cambiare me stesso e parlare di Gesù che non abbandona nessuno perché mi dice in continuazione: “Quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli l’avete fatto a me”. La misericordia e la compassione devono stare insieme parallelamente come un treno che corre sui binari per arrivare in una stazione, resta a noi non fermare questa preziosa corsa che caratterizza il diacono che attraverso la preghiera, la riflessione, l’accompagnamento spirituale e l’esperienza di vita diventa un tutt’uno con quanti incontra e con semplicità e amore cerca di ridare opportunità di relazione, guardare con cuore, conoscere le povertà degli altri.
Tutto ciò diventa modo di approccio spirituale e bagaglio di esperienza. La misericordia è la capacità di porsi di fronte a tanti per vivere l’amore di chi ha un bisogno, rispondendo umilmente all’amore di Dio, non si tratta di un semplice fare del bene, ma un modus vivendi che mi conforma all’identità di Cristo servo. La misericordia mi porta a non giudicare, a non condannare, a perdonare e a fare del bene non solo a chi incontro, ma anche a me. Così la misericordia redime, riscatta.

 *MARINO G., La santità diaconale attraverso le beatitudini, in Il diaconato in Italia, 216(2019), pp. 50-51.