Un ricordo di mons. Ugo Grazioso, Apostolo della ministerialita’
Un ricordo di Mons. Ugo Grazioso
Apostolo della ministerialita’ *
di Gaetano Marino
Nella vita si incontrano persone che aiutano a conoscere la propria identità, una presenza che diventa forza per meglio scendere nel proprio intimo e trovare Dio. Nel 1975, ero a conoscenza che presso la Basilica di Capodimonte vi era l’Idim (Istituto Diocesano di Iniziazione ai Ministeri), mi recai da Mons. Ugo Grazioso, direttore nonché rettore della Basilica e così iniziai il percorso formativo che mi ha portato ad essere ordinato diacono il 12 febbraio 1984.
Non conoscevo don Ugo, mi bastò il tempo della presentazione e un breve dialogo per capire che certi incontri non nascono dal nulla e che sono voluti da Dio che chiama a realizzare un Suo progetto. Credo che l’incontro con don Ugo non sia stato casuale, ma un modo per prendere coscienza di ciò che stavo per intraprendere e per dare una precisa risposta: “un si” che dura da 32 anni.
Mi chiedo: Chi era don Ugo? Un sacerdote che credeva in Dio manifestando il suo amore verso tanti in obbedienza alla Chiesa ed ai suoi superiori, un uomo concreto, pronto ad aiutare chi incontrava sul suo cammino, serio, che rifiutava ogni compromesso, di carattere fermo che, talvolta, sembrava duro e quando il Cardinale Corrado Ursi lo chiamò per affidargli l’incarico di iniziare l’Idim, umilmente gli disse: “Eminenza non mi sento idoneo a portare avanti questo dono dello Spirito per la Chiesa di Napoli”. Il Cardinale, che aveva partecipato al Concilio Vaticano II, sentiva dentro di sé che il futuro della Chiesa stava nella ministerialità, e conoscendo l’intimo di don Ugo e le sue qualità pastorali, lo spinse ad accettare l’incarico ed egli in obbedienza accettò la proposta del presule ed incominciò a realizzare il suo prezioso intuito profetico di “una chiesa tutta ministeriale”.
Ricordo che per i diaconi, era prassi un incontro formativo mensile per esercitare il senso della condivisione, quando qualcuno non si presentava agli incontri, don Ugo non appena ne aveva l’opportunità, chiedeva il perché dell’assenza, facendo capire che null’unità si costruisce insieme un cammino, dal viso si leggeva che si sentiva ferito, tradito, perché la riteneva una mancanza di rispetto nei confronti del Cardinale, dei diaconi e di tutta la Chiesa.
Il 31 agosto, alla rispettabile età di 87 anni è ritornato alla casa del Padre ed il giorno successivo 1° settembre sono stati celebrati i funerali nella Basilica del Buon Consiglio. Con le lacrime agli occhi posso dire: “Caro confratello maggiore, il tuo ritorno alla casa del Padre non è un semplice ricordo, ma la certezza che continui a vivere fra noi e ad essere sempre la nostra guida”.
*MARINO G., Un ricordo di mons. Ugo Grazioso, Apostolo della ministerialità, in L’incontro, 26(2015), p. 4.
La famiglia del diacono, incarnazione dell’ecclesialita'
La famiglia del diacono, incarnazione dell’ecclesialità *
di Gaetano Marino
Oggi la famiglia è in crisi, si assiste ad una sua rapida modificazione di comportamenti in quanto ci sono nuovi modelli sociali che continuamente si innestano nel tessuto familiare determinando non pochi cambiamenti, il tempo non è più recepito come risposta, verifica e garanzia delle scelte fatte e vissute. Ciò è reso ancora più difficile perché si è condizionati dalla continua nascita di nuovi modelli esistenziali, dovuti non solo all’evoluzione sociale, ma anche a nuove opportunità per vivere da cittadini di tutto il mondo. Questa fase storica comporta la scoperta di nuove povertà, intese come forme che si integrano, non sempre in modo positivo, nel tessuto familiare; non è la prima volta che esse incidono sulla nostra tradizione.
E’ qui che bisogna riflettere e valorizzare quelle componenti che da sempre ci hanno distinti nella Chiesa e prima di agire dobbiamo prepararci alla nuova realtà per vivere un confronto che sia rispettoso della vita degli altri, della loro dignità per favorire un cammino insieme che con il tempo diventi percorso di vita, per cui credo che bisogna, necessariamente, puntare sulla crescita di tutta la comunità cristiana, non fermarsi a frasi fatte, preconcette, che con il tempo diventano scialbe, prive di senso logico. Si auspica quindi un’apertura della famiglia che non sia limitata, ma che alla luce della Parola di Dio viva all’interno della propria comunità, facilitandone l’incontro con altre famiglie che abbiano gli stessi problemi: una famiglia esperta nelle relazioni che diventi segno salvifico del mondo.
A questo punto è opportuno rivalutare il diaconato, prezioso dono dell’intuito dello Spirito. Pur considerando che l’ordine sacro è per il diacono e non per i familiari, egli può operare in un contesto più ampio coinvolgendo i suoi cari, per cui la sua famiglia diventa il fulcro in cui si può manifestare maggiormente l’amore di Dio. Questo è un dono al quale fa seguito un insieme di persone, che possono farsi carico di altre famiglie che hanno gli stessi problemi, in primis manifestando loro il dono dell’accoglienza, aiutando a percepire la capacità di uscire dall’empasse della vita per sentirsi guariti, perché amati e alla luce del Vangelo puntare sulle risorse personali. Possiamo dire che la testimonianza è di tutti, ma in particolar modo del diacono sposato che insieme alla sua famiglia è chiamato a farsi carico di coloro che si trovano nel bisogno, per cui egli diventa incarnazione dell’ecclesialità come “chiesa domestica”. Lo possiamo riscontrare sull’esempio di Aquila e Priscilla negli Atti degli Apostoli. L’agire della famiglia testimonia come vivere la fede, il senso di amore verso gli altri, come farsi prossimo per rispondere ai bisogni di coloro che incontra sul proprio cammino di vita, per cui il diacono uxorato, esperto di vita socio-familiare con la propria famiglia, diventa felice modello, che si proietta a testimoniare, evangelizzando con l’apertura del cuore e della casa. I due protagonisti degli Atti hanno vissuto una precisa identità cristiana, non hanno avuto paura di sporcarsi le mani e con il loro agire hanno permesso la diffusione della Chiesa nel mondo, facendo scaturire una irresistibile forza missionaria. Con lo spirito missionario, vissuto da Aquila e Priscilla, anche le famiglie dei diaconi, sul loro esempio, permettono di affermare che non ci sono limiti all’amore di Dio, essi, infatti, non esitarono ad allontanarsi dalla propria città per essere fedeli ad una precisa identità cristiana.
Come ieri l’evolversi del cristianesimo ha condotto a costruire spazi specifici per la vita ecclesiale, oggi bisogna riscoprire questo importantissimo insegnamento affinché la famiglia del diacono sia percepita da esempio, come famiglia tipo, che percepisce l’amore di Dio e lo vive attraverso l’altro, aiutandolo e sanando quelle ferite, che se lasciate a se stesse, diventano con il tempo cancrenose. Come Aquila e Priscilla, i quali, vivendo da marito e moglie, hanno contagiato altre famiglie della Chiesa e hanno testimoniato come operando insieme si può essere promotori di amore e testimoni di fede. In questo modo la dimensione matrimoniale e familiare è vissuta come rispetto dell’insieme, come una realtà inscindibile. Questa piccola comunità familiare è linfa vitale per la Chiesa, importante luogo di incontro in cui tutto viene vissuto con grande spirito di libertà e non di possesso. Nessuno è padrone della Chiesa e del Vangelo; questo concetto ha in sé una carica missionaria. Ieri i due coniugi, oggi la famiglia del diacono, vista come promotrice di vita ecclesiale: una vera e propria scelta che la porterà a raggiungere il cuore di tanti, con la convinzione che essere cristiani significa aver fiducia in Dio e rispondere ai bisogni di tanti, dare un preciso senso di appartenenza, coinvolgendo se stessi per colmare i diversi vuoti, per creare nuove opportunità di amore che dalla famiglia, piccola chiesa domestica, conducono alla Chiesa madre dove tutto diventa premessa di amore che intercede con la propria vita.
Questa prassi diventa motivo escatologico, stimola ed approfondisce i cardini della ricerca per essere più consoni e disponibili ad aprirsi alla voce di Dio, per farsi modellare da Lui che è presente ed agisce dando opportunità di costruire attraverso l’evangelizzazione la comunità dei credenti, come faro di vita, non per dare una risposta, ma per aiutare a prendere coscienza del momento che si vive.
L’umanesimo coinvolgente del diacono
di Gaetano Marino
Ci sono tanti input da parte della Chiesa che donano esaustivi orientamenti per essere segno e strumento dell’Amore profuso da Dio. Non può passare il Suo amore se non esiste il dono della prossimità, è qui che si gioca la credibilità della Chiesa. Convinti, che per non uniformarsi alla mentalità del mondo, bisogna eliminare le maschere di buonismo ed assumere responsabilmente quelle priorità che oggi si evidenziano maggiormente. Una risposta è leggere, studiare ed operare dove si manifestano, in modo particolare, i “segni dei tempi”. Che cosa ne è della famiglia? Dei migranti? Del lavoro? Della vita socio-politica? Non penso che manchino modelli per operare, credo che ci voglia il coraggio di una presenza: “Andate, io sarò con voi fino alla consumazione del mondo”.
Dopo questa premessa, è opportuno entrare nello specifico per comprendere la società come vive alla luce della verità di Cristo, avere la precisa volontà di esser presenza accettando le sfide odierne preferendo forme di relazioni che ci aiutino a vivere la missione; vivere un ministero nella Chiesa che senta, avverta, frema per uscire dalla sicurezza delle quattro mura e scoprire che dare un senso alla cristianità vissuta significa solcare nuovi campi che rappresentano la realizzazione, il contagio, coinvolgendo altre categorie di ministerialità che assimilano, vivono e si portano ad aiutare, a superare gli ostacoli umani mediante un’apertura che lasci presagire una presa di coscienza: un’adesione senza vincoli che non ostacoli ogni rapporto. Il diacono è chiamato a creare ponti e con la sua solerzia ne fa luogo d’incontro e di dialogo, egli partecipa più direttamente e concretamente ai problemi, alle angosce, alle attese, alle prove della gente in quanto le vive e ne è coinvolto in prima persona. È stato formato per preparare la strada, arriva a farsi prossimo di tanti, è capace di relazioni interpersonali immediate e profonde che la rendono luogo di incontro. A questo punto è opportuno ribadire che come diacono non posso uniformarmi alla mentalità del mondo, per questo voglio anche essere definito “superato” da un pensiero relativista, tutto ciò non mi interessa perché, come consacrato, sono stato chiamato a farmi dono della presenza di Dio per cui qualsiasi pensiero o atteggiamento di vita non mi scalfisce più di tanto, sono portato a relazionare con tutti ed insieme iniziare un cammino che ci ponga l’uno di fronte all’altro per essere nuove creature di Dio. Non è difficile toccare con mano che ci sono realtà che fanno fatica a considerare e vivere l’uscita da se stessi, chi esce dalle sicurezze è vulnerabile e può facilmente sentirsi stanco, offeso, inadatto. Credo che insieme bisogna trovare quelle forme che favoriscano la relazione senza offendere o imputare il dito e non presentarsi come unico credente; mi viene in mente la parabola del fico infruttuoso, quando il servo dice al suo padrone: “Lascia che io quest’anno ci zappi attorno, gli metta del concime”, parafrasando l’amore, la fraternità, la pazienza dei tempi dell’altro e la solidarietà verso ogni forma di povertà. Questa è la base su cui il diacono è chiamato a svolgere la sua missione. E’ assolutamente necessario entrare nella mentalità che insieme si possono superare tanti ostacoli, per cui operando in équipe, dove ognuno abbia qualcosa da condividere e trasmettere agli altri, si può dare inizio a un cammino di fede. Volontà, audacia sono basilari al cambiamento, bisogna essere uomini di preghiera e con piccoli passi stabilire un equilibrio con quanti incontriamo e con le varie attività parrocchiali. Oggi si è anche distratti dai continui messaggi mediatici che creano confusione e che non sempre sono veritieri, per cui bisogna avere quella formazione attenta che possa aiutare a saper leggere le necessità, gli eventi per vivere il dono dell’incontro, evitare ripetizioni, coinvolgendo e creando inquietudine nell’intimo.
Certamente, da principio è faticoso, ma con il tempo coloro che si impegnano sono propensi a vivere la missione come un prezioso invito con cui il Padre ci manda ai fratelli per chiamarli ad accogliere il dono, come condizione della cristianità. Un diacono visto come raffigurazione di Cristo, vero Uomo, che ama, sempre pronto a dare la vita, non per rispondere ad un ideale, ma per conformarsi a quanto ci è stato insegnato da Nostro Signore Gesù Cristo. Il diacono, nel suo ministero, incontra sul suo cammino ammalati, poveri, famiglie, e realtà sociali, ricostruisce un tessuto ecclesiale che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa, preferendo e cominciando dai poveri, lo stesso Cristo li ha affidati a tutta la Chiesa: “I poveri li avete sempre con voi”; quanti padri della Chiesa asseriscono che essi rappresentano un prezioso tesoro, garanzia di salvezza per tutta la comunità ecclesiale, il povero deve essere avvicinato, bisogna fare in modo che riacquisti la sua dignità di essere umano. Nella Chiesa tutto deve essere percepito con spirito di povertà, altrimenti è come combattere contro i mulini a vento. Sono convinto che ogni azione pastorale deve tendere a costruire rapporti di fraternità, dove ognuno pro sua parte partecipi e diventi dono per l’altro. Quante povertà possono essere debellate quando esiste una precisa volontà al bene dell’altro, si pensi al diacono vicino all’ammalato, all’anziano, ecc. la sua relazione diventa luogo di salvezza e luogo teologico, risposta comunitaria dove la condizione di ognuno è condivisa, è nel suo essere comunità che la Chiesa si esprime, vive l’umanesimo come dono e risposta all’amore di Dio
*MARINO G., L’umanesimo coinvolgente del diacono, in Il diaconato in Italia, 192(2015), pp. 47-48.
Un ricordo di mons. Ugo Grazioso, pioniere dei nuovi tempi della chiesa
Un ricordo di mons. Ugo Grazioso, pioniere dei nuovi tempi della chiesa
Per una chiesa tutta ministeriale*
di Gaetano Marino
Ho conosciuto Mons. Ugo Grazioso quarant’anni fa e ogni giorno ringrazio Dio che nella Sua infinita misericordia mi ha posto sulla sua strada. Quarant’anni rappresentano l’inizio di due generazioni, avevo 25 anni, quando mi presentai chiedendogli informazioni per poter seguire gli studi dell’Idim, oggi ne ho 64, un passaggio di vita che mi riporta a vedere le cose con più maturità.
Nella mia esperienza ho constatato come il diaconato sia un prezioso dono di Dio e che il Signore ama con il nostro amore, opera con le nostre mani facendoci capire che è un Padre che ama i propri figli e li consola con la Sua presenza. Egli è presente e ci dà la possibilità di essere testimoni di amore attraverso i segni necessari per aiutare a rimuovere ostacoli che da soli sono insormontabili, ma che insieme diventano più leggeri.
Non è forse questo un insegnamento? E’ testimonianza di vita che supera la monotonia umana dando vita e luce, allontanando i falsi profeti che convivono all’interno e all’esterno di noi. Mons. Grazioso mi ha insegnato che non basta avere fede, fare delle cose, ma è necessario vivere quotidianamente il Vangelo.
Con la sua pazienza ci ha aiutati a cercare Dio sul volto di coloro che incontriamo sulla nostra strada, a dare un senso al ministero diaconale che non è nostro, ma di Colui che ci ha chiamato sin dall’eternità a manifestare il nostro “si”, a Dio che ci invita a lavorare nella vigna con Lui e per Lui, ad inchinarci a parlare, a servire i poveri, gli ammalati, gli anziani, i diversamente abili.
Noi diaconi ci siamo sentiti figli, fratelli nell’ordine, amati e sorretti nei momenti bui; abbiamo incontrato un sacerdote che ha sempre creduto in Dio ed amato i fratelli; che ha realizzato l’intuito del compianto Cardinale Corrado Ursi “Una Chiesa tutta ministeriale”; che ha sempre allargato le braccia e il cuore donando serenità, luce e amore, incoraggiandoci a vivere superando ogni difficoltà; una persona seria e coraggiosa, capace di sporcarsi le mani per le cose giuste fino a dare la sua vita, perché puro di spirito; direttore responsabile dell’Idim che è stato per la sua struttura ed articolazione il primo in Europa, monitorato da tante diocesi.
Posso dire che ho conosciuto un uomo che non pensava a se stesso, ma che attraverso il suo impegno permetteva la realizzazione del progetto di Dio con coloro che lo incontravano sul proprio cammino ministeriale. Sempre fedele ai suoi superiori, in particolar modo al Cardinale Corrado Ursi quando lo volle vicino affidandogli la realizzazione dell’Idim, avendo vissuto personalmente i dettati del Concilio Vaticano II sulla necessità di una nuova ministerialità nella Chiesa. Don Ugo ha saputo dare una preziosa risposta mettendo in atto l’intuito profetico di Ursi che di lì a poco realizzò a Napoli il nuovo piano pastorale conferendo ai sacerdoti ed ai formatori quelle linee programmatiche che alla luce della disponibilità dello Spirito diventarono strada da percorrere, pioniere dei nuovi tempi della Chiesa che si apriva al mondo.
Per noi diaconi della prima ora, don Ugo è stato sempre un punto di riferimento, un uomo che non si è lasciato coinvolgere da effimere aspettative e non si è tirato indietro, perché ha sempre creduto in Dio. Il nostro comune amico ci ha sempre incoraggiati dicendo che sul nostro cammino avremmo sempre trovato delle nuvole che offuscano il sole e che prima o poi torna il sereno.
Alla celebrazione funebre hanno partecipato 127 diaconi napoletani con camice e stola volendo manifestare non un timido legame, ma un segno più profondo che diventa forza e si pone come continuità di vita evangelica, un dono di amore al fine di costruire ponti.
Terminata la celebrazione, sei diaconi hanno portato la bara sulle spalle, molti altri l’hanno accompagnata con una piccola processione fino all’autovettura funebre: una risposta, un segno di amore. Grazie, confratello maggiore, la tua presenza ha lasciato nei nostri cuori una fiamma accesa che ha bisogno di manifestarsi, amando.
*MARINO G., Un ricordo di mons. Ugo Grazioso, pioniere dei nuovi tempi della Chiesa. Per una Chiesa tutta ministeriale, in Nuova Stagione, 30(2015), p. 7.
Il Diacono Ministro della carità
Il Diacono Ministro della carità
Nei primi secoli del Cristianesimo il termine diacono indicava tutti coloro che svolgevano un servizio, un ministero all’interno della Chiesa, per cui era applicato a tutti i credenti, anche agli apostoli e ai presbiteri (Rm 1,1; Fil 1,1; Tt 1,1; Gc 1,1).
Una consolidata tradizione segna l’inizio del diaconato nel racconto dell’istituzione dei sette che troviamo nel libro degli Atti degli Apostoli (6-1,6), quando gli Apostoli, per potersi “dedicare alla preghiera e al servizio della Parola”, dopo aver invocato lo Spirito Santo, scelgono, tra i fratelli della prima comunità, “sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza” affinché collaborassero con loro, occupandosi del servizio e assistenza agli orfani e alle vedove.
In questi versetti si manifesta lo stretto nesso che lega gli Apostoli e i Diaconi, e il ruolo degli stessi: un servizio amministrativo e assistenziale da svolgere in piena collaborazione con gli Apostoli.
Continuando a leggere il libro degli Atti, apprendiamo che ai compiti pratici svolti da questi primi Diaconi si aggiungono servizi pastorali di maggior rilievo.
Le particolari caratteristiche «uomini pieni di spirito e di sapienza» permettevano ad essi la possibilità di offrire , oltre ai cibi materiali della mensa, anche quelli spirituali della rivelazione cristiana; per cui essi si diedero ben presto alla predicazione, con mirabili frutti, come dimostrano Stefano (At 6,8; 7,60) e Filippo (At 8,26-40), che battezzava (At 8,38).
I primi Diaconi quindi non si limitarono solo al servizio della mensa, ma affiancarono gli Apostoli nel ruolo dell’evangelizzazione. I Diaconi svolsero questo ulteriore ruolo non di loro iniziativa; leggiamo sempre negli Atti che Filippo fu inviato esplicitamente da «un angelo del Signore» (At 8,26).
Stefano "faceva grandi prodigi e miracoli" e a causa del suo atteggiamento e della sua predicazione fu lapidato. Filippo, anch'egli "uno dei sette", era detto "l'evangelista" in quanto missionario e annunciatore del Vangelo (Atti degli apostoli cp.8;21).
L'antica Didascalia degli Apostoli raccomanda al diacono una comunione stretta e cordiale con il Vescovo: "Egli sia l'orecchio del Vescovo, la sua bocca, il suo cuore, la sua anima: due in una sola volontà".
La Tradizione Apostolica di Ippolito descrive il rito di ordinazione dei diaconi mediante l'imposizione delle mani da parte del solo vescovo, e spiega: "Perché il diacono non è ordinato per il sacerdozio, ma per il servizio del Vescovo".
Successivamente la figura del Diacono si è sempre più delineata grazie anche ai dettati dei Padri della Chiesa riportati nella Didaché, nella Traditio apostolica, nella Didascalia apostolorum e nelle costituzioni apostoliche.
Nel corso dei secoli dopo che si delineò una struttura gerarchica della Chiesa, e i diaconi furono inferiori solo ai presbiteri e al vescovo, con funzioni di assistenza di quest'ultimo che lo aveva ordinato: distribuivano l'eucarestia, leggevano i testi sacri ed erano dediti alla predicazione.
Sappiamo bene come e perché questo dono dello Spirito, ricchezza per la Chiesa, sia scomparso come ministero permanente e relegato ad un momento nel cammino verso il presbiterato.
Il Concilio Vaticano II, ha ripristinato questo ministero permanente per il bene della Chiesa intera.
Purtroppo si rileva che in alcuni casi, un’interpretazione non esatta del ruolo del Diaconato permanente anche da parte dei Presbiteri, con conseguente mortificazione del ministero Diaconale vissuto come un servizio sostitutivo del presbiterato, crea disappunto.
Spesso esso diventa una testimonianza e un servizio ecclesiale non idonea al giusto significato del Ministero Diaconale.
A oltre quarant’anni di distanza dalla restaurazione del Diaconato Permanente sorge la necessità di rivedere il ruolo dei diaconi proprio alla luce di quanto riportato nelle Sacre Scritture e ricordato all’inizio di questo lavoro.
Per ottemperare a questo bisogno, i componenti del Coordinamento Regionale dei Diaconi Permanenti in seno alla CEC, durante quest’anno pastorale 2014/2015, si sono confrontati sul tema:
“Il Diacono, Ministro della Carità”
Nella riflessione offerta ai componenti del Coordinamento Regionale dei D.P. il 24 novembre 2014 a Pompei, Mons. Vincenzo Mango, Direttore dell’Ufficio di Curia dei Diaconi Permanenti della Diocesi di Napoli, ha ricordato ciò che il Direttorio per il Ministero e la vita del Diacono Permanente recita circa il ruolo della Carità del Diacono : "La sollecitudine fraterna della carità avvierà il diacono a diventare animatore e coordinatore delle iniziative di misericordia spirituale e corporale, quasi segno vivente della carità di Cristo" (Direttorio al n 70).
Da questa dichiarazione si evince che il “munus della Carità” del Diacono non può assolutamente limitarsi al mero assistenzialismo (leggi distribuzione pacchi), ma egli dovrà essere l’anima dei Centri Caritas in forza del suo essere Ministro.
Nella sua relazione don Enzo ha ricordato che il Beato Paolo VI, nell’immediato post-Concilio (1972) ha voluto per la Chiesa post-conciliare la nascita della Caritas, riconoscendo ormai esaurita la funzione della POA (Pontificia Opera Assistenza). E’ innegabile il ruolo e i benefici della POA che, grazie al sostegno materiale della Chiesa Americana e del Vaticano, ha aiutato un grandissimo numero di persone stremate dalla povertà del dopoguerra.
La Caritas fu voluta dal Papa con lo scopo di promuovere la vera Carità, che non escludeva l'attenzione e l’assistenza materiale ai bisognosi, ma che coniugava questa attività con un'opera di accompagnamento dei poveri, affinché si potesse risvegliare in loro una coscienza nuova e far emergere la propria dignità di persona. Significativa la definizione che il Beato Paolo VI diede alla Caritas: Prevalente Funzione Pedagogica.
Tre magiche paroline che contengono un intenso programma di attività che aiuta tutti a guardare ai bisognosi nella loro giusta identità.
In questa definizione non si esclude l’attività assistenziale, ma si tende a responsabilizzare la persona e aiutarla ad uscire dalla sua condizione di bisogno, attraverso apposite iniziative.
Un vecchio adagio in uso nell'America latina dice: "Al bisognoso che ha fame bisogna dare il pesce, nello stesso tempo bisogna anche offrirgli la canna, l'amo e l'esca perché impari a pescare per procurarsi lui il pesce e non essere più così dipendente dagli altri". Questo aiuta a comprendere l’intuizione dei Papa Paolo VI.
E’ certo che “quest’ultimo impegno è forse meno gratificante, ma è il più efficace. Per Paolo VI quindi la vera carità non chiede di fermarsi ai semplici gesti occasionali che lasciano l'altro nella continua condizione di dipendenza, che forse può essere addirittura anche più ... "comoda" per lui. Un progetto di pedagogia, invece come intende il papa, è diretto a impegnare sia la persona interessata al suo bisogno immediato, che chi lo aiuta a liberarsene. A tale intento già al tempo di don Elvio Damoli nacque il "Binario della Solidarietà" (istituzione poi da me ereditata nella Caritas diocesana) (Mons Mango, Il Diacono Ministro della Carità 24 nov 2014).
Di seguito riportiamo l’esperienza in merito al servizio della Carità, nelle singole Diocesi della Campania.
Diocesi di Avellino
Il Collegio Diaconale della Diocesi di Avellino è composto da undici diaconi, ad ognuno il Vescovo ha assegnato incarichi parrocchiali e diocesani. In particolare due diaconi sono impegnati nei servizi Caritas, con incarico specifico, uno in qualità di direttore della mensa “Mons. Antonio Forte”, e del centro di accoglienza notturna e l’altro responsabile della solidarietà familiare.
Diocesi di Aversa
In Diocesi, la metà dei Diaconi Permanenti e impegnata nelle Caritas Parrocchiali e Diocesana, ricoprendo il ruolo di responsabile dei servizi che vengono offerti ai fratelli bisognosi.Il 19 febbraio 2015 , secondo il programma di formazione proposto per il corrente anno pastorale 2015/2015, si è tenuto in Diocesi un incontro di formazione sul tema “La Carità nella Chiesa” tenuto da S.E. Card. Sarah.
Mons. Spinillo, presentando il Card. Sarah e introducendo i lavori , ha detto: “Siamo nel pieno dell’anno pastorale che ci vede impegnati ad educare e a formare la nostra vita di credenti nella virtù della carità. L’obiettivo cui miriamo è, come sapete, imparare a modellare i nostri pensieri e le nostre scelte, le nostre volontà e tutto il nostro vivere guardando alla carità di Gesù Cristo nostro Signore”. Il Vescovo, inoltre, ha sottolineato che il servizio della carità dev’essere inteso come espressione della condivisione con le persone che sono in difficoltà, ispirata all'esempio di Cristo che ha condiviso con i credenti la sua dignità di Figlio.
Sua Em. Cardinale Sarah ha messo in evidenza, ricordando che Gesù ci ha presentato la carità come il comandamento nuovo: “ questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato “. (Gv 15,12) e che la Carità è espressione di questo dono di amore totale, gratuito, senza calcoli economici. Un dono d’Amore che Gesù ha sublimato on il suo sacrificio in Croce.
Il Presule ha continuato la sua esposizione presentando alcune riflessioni teologiche sul servizio della Carità nella Chiesa, partendo dall’Enciclica programmatica di Papa Benedetto XVI Deus Caritas est.
Nell'attuale contesto sociale e culturale vivere la carità porta a vivere il cristianesimo come elemento propulsore ed indispensabile per la conduzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Il vero sviluppo integrale dell'uomo riguarda la totalità della persona in ogni sua dimensione. Senza un rapporto con Dio attraverso Gesù Cristo, senza la prospettiva di una vita eterna il progresso umano in questo mondo è privo di credibilità. La Società odierna vive infatti con la crisi economica internazionale situazioni che portano la Chiesa ad affrontare importanti sfide dai risvolti antropologici, etici, spirituali e culturali: indifferenza religiosa, la secolarizzazione, l'ateismo, e nuove ideologie alimentano una vita vissuta come se Dio non esistesse [...]
Tutti quanti involontariamente respiriamo a pieni polmoni dottrine che sono contrarie all'uomo e che hanno effetti di demolizione e di distruzione soprattutto sulla persona umana, sulla sua vita, sulla sua sulla famiglia, sul lavoro, sui rapporti interpersonali.
Ciò che lo distrugge nel suo intimo è la confusione e lo squilibrio interiore, la schiavitù del denaro, lo scontro tra verità e libertà, la pretesa di fare a meno di Dio, lo sfruttamento a fini commerciali. Non abbiamo più il tempo di vivere, di adorare […]
Educare al servizio di Carità (enciclica Deus Caritas est): contemplazione dell'amore di Dio Uno e Trino, che si è incarnato in Gesù Cristo, sottolineando così l'origine teologica decisamente trinitaria di ogni carità e di ogni attività caritativa. Testimoniare la Carità, rivelare il disegno del Padre, il volto dell'Amore che ha inviato il Figlio unigenito nel mondo, per redimere l'uomo morendo sulla croce e inviando l'unzione dello Spirito Santo nel cuore di chi crede.L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: Annuncio della Parola di Dio, Celebrazione dei Sacramenti, Servizio della Carità [...]
La Chiesa è stata segnata fin dagli inizi dell'Ascolto della Parola di Dio, della Celebrazione dei Sacramenti, della Carità vissuta. Queste caratteristiche non sono solamente la descrizione fenomenologica delle realtà cristiane, ma il modo concreto in cui la Chiesa esercita se stessa, in cui si realizza e cresce. Nella Dogmatica queste dimensioni ecclesiali sono state determinate appunto come martyria, leturghia, e diaconia. Così la carità si accompagna per ristretta logica all'evangelizzazione e alla liturgia. Insieme esse realizzano la Chiesa …] Non possiamo capire la missione della Chiesa senza rapportarla alla missione di Gesù Cristo, suo fondatore. Come ci insegna ampiamente il Concilio, il senso della Chiesa è quello di portare la luce di Cristo al mondo (LG 1) […]
Il Card. Sarah ha concluso il suo intervento soffermandosi su un punto molto caro al magistero di papa Benedetto XVI: il rapporto naturale tra Vangelo e Carità […] Il Santo Padre ribadisce che la massima opera di Carità è proprio l'evangelizzazione, ossia il servizio della Parola. Non vi è azione più caritatevole verso il popolo dello spezzare il pane della parola di Dio (Caritas in Veritate) […]
La fede diventa opera d'amore. Anche la nuova evangelizzazione passa per l'esperienza personale di Cristo. Da una parte una vita fondata solamente sulla presunta fede corre il rischio di naufragare in un banale sentimentalismo, che riduce il rapporto con Dio ad una mera consolazione del cuore. Da un'altra parte una carità che non si inginocchia davanti a Dio, che non tiene presente la sorgente da cui scaturisce ogni azione di bene rischia di essere ridotta a mera filantropia.
Gesù ed il suo amore compassionevole ed operante per l'uomo diviene riferimento e modello della carità ecclesiale. Non si può servire l'uomo senza l'ansia di dargli tutto ciò di cui ha bisogno, senza conoscere che nel fondo di se stesso l'uomo ha fame e sete di quella felicità che gli viene dal sentirsi amato e voluto da Dio.
La povertà più grande è la mancanza di Dio, è l'assenza di Dio. Finchè noi non porteremo Gesù agli uomini, avremo fatto per loro sempre troppo poco”.
Arcidiocesi di Benevento
L’ Arcidiocesi di Benevento conta 53 Diaconi Permanenti che sono distribuiti per la maggior parte nella città di Benevento ed il resto in alcune foranie della Diocesi. Sono fondamentalmente impegnati, alcuni di essi, nelle Caritas parrocchiali ed altri hanno espletato il servizio nella grande struttura della Caritas diocesana, che fornisce oltre un centinaio di pasti al giorno. Le altre attività sono il servizio alle parrocchie, assistenza agli anziani ammalati e poveri nelle varie comunità, oltre gli impegni quotidiani che sono quelli del servizio liturgico la catechesi e formazione di gruppi parrocchiali.
Diocesi di Caserta.
Buona parte dei diaconi della Diocesi, è impegnata nelle proprie parrocchie o nell’ambito della Caritas o nel volontariato vincenziano sia per i soccorsi immediati (distribuzione di alimenti di prima necessità attraverso il Banco delle Opere di Carità), sia per l’accoglienza e l’ascolto dei bisognosi cercando di aiutarli anche spiritualmente e moralmente.
Alcuni Diaconi sono impegnati a tempo pieno nella gestione del Banco delle Opere di Carità, che provvede alla raccolta e distribuzione di generi di prima necessità ai vari Enti Caritativi e Parrocchie della Regione Campania.
Diocesi di Napoli
La storia della Chiesa della nostra Regione e in particolare la storia della Diocesi di Napoli presenta e rimanda ai posteri le attività delle Diaconie sorte a Napoli a partire dal VI secolo.
Nella Chiesa antica la Diaconia si identificava con un complesso di edifici accorpati intorno a un oratorio o una cappella e destinati al servizio ai poveri secondo il precetto evangelico della carità. (1)
A Napoli le prime Diaconie sono ricordate dal VI secolo. Quella di cui si conoscono più notizie fu a Diaconia-di S. Gennaro all’Olmo, fondata dal Vescovo Sant’Agnello nel 680,nella platea Nostriana (via S. Gregorio Armeno). Comprendeva un balneum e un hospitium, e vi venivano alloggiati, curati e lavati i pellegrini e i bisognosi. Ad essa venivano assegnati due volte all’anno: 110 moggi di grano, 200 urne di vino, una certa quantità di sapone e 1.000 silique d’argento. (1)
Le fonti menzionano ancora: la Diaconia dei Santi Giovanni e Paolo (fondata nel 721) in Via Paladino; la Diaconia di S. Giorgio ad forum nella regione di Forcella; la Diaconia di S. Andrea a Nilo, fondata da una donna, Candida (morta il 10 settembre 585), che fu sede di varie attività fino alla metà del se c. XVII; la Diaconia di S. Maria in Cosmedin in piazza Portanova; la Diaconia dei Santi Quirico e Giulitta nella regione di Capuana (inizi del IX secolo)… (1)
Papa Benedetto XVI ha ricordato le diaconie napoletane nella sua prima enciclica “Deus caritas est” n. 23.Conosciamo molto bene i bisogni che attanagliano l’uomo di oggi in questo contesto economico- sociale, che annulla la “persona” mortificandola nel suo essere e nei suoi bisogni primari.
Certamente come Chiesa e in particolare come Ministri non possiamo essere insensibili alle richieste che arrivano da più parti.
Nel 2010 il Card. Crescenzio Sepe indisse il “Giubileo per Napoli”, un momento molto intenso che ha sensibilizzato tutte le istituzioni politiche, sociali, culturali ed economiche, affinché nello specifico dei loro compiti si adoperassero sempre di più al servizio dei cittadini.
E in questo contesto il Collegio dei Diaconi di Napoli nell’ambito del cammino di formazione previsto per l’anno pastorale 2011/2012 ha prodotto uno studio sulla possibilità del ripristino delle Diaconie per rispondere ai bisogni attuali.
In applicazione alla Lettera Pastorale “Canta e cammina…una Chiesa adulta per una società responsabile” emanata dal Vescovo Card. Sepe nell’anno pastorale 2013/2014, con la quale il Presule invitava tutti ad uscire dalle Sacrestie per andare tra la gente, i Diaconi Partenopei hanno realizzato una “Diaconia dell’ascolto”, un centro avanzato tra la gente, per essere accanto a loro nell’accoglienza, nell’ascolto e per quanto possibile, aiutare a risolvere particolari situazioni.
Come ha ricordato Mons. Mango nella sua esposizione, in Diocesi opera con efficacia il “Binario della Solidarietà”: un organismo nato nei primi anni ’70, grazie a dei locali messi a disposizione dalle Ferrovie dello Stato nella Stazione Centrale di Napoli, e dove la Caritas Diocesana aiuta i bisognosi non solo nel dare loro un aiuto immediato, ma principalmente nel cercare di dare loro un futuro attraverso l’apertura di laboratori artigianali, nei quali questi nostri fratelli meno fortunati hanno la possibilità di imparare un mestiere e attraverso la vendita di oggetti artigianali essere autosufficienti.
Solo alcuni Diaconi partenopei sono impegnati nelle Caritas Parrocchiali o in specifici servizi Diocesani o Decanali, come già riportato nel precedente documento.
(1) Le notizie circa le Diaconie a Napoli, sono state tratte dalla relazione del Diacono Carlo de Cesare, Diocesi di Napoli, del 28 aprile 2012.
Diocesi di Nola
Nella diocesi di Nola i diaconi impegnati nel servizio Caritas sono quattro. Nei corsi di formazione si è molto insistito sulla dimensione pedagogica del servizio Caritas e perciò i diaconi che svolgono servizio in questo ambito sono stati sufficientemente introdotti a questa dimensione. Nei grandi centri urbani sono stati istituiti presso alcune parrocchie o presso sedi appositamente erette, il banco alimentare, i centri di ascolto e i centri di accoglienza dotati di mensa e di posti letto e di docce, di assistenza legale e sanitaria.
In Diocesi sotto attivi dei Corsi di formazione artigianali che favoriscono l’inserimento al lavoro dei giovani e dei bisognosi.
Dei quattro diaconi impegnati nel servizio Caritas uno solo ha la nomina di responsabile della Caritas Parrocchiale, un secondo diacono è responsabile soltanto della mensa parrocchiale e gli altri tre svolgono il ruolo di collaboratori.
Diocesi di Salerno
Come in tutte le Diocesi della Regione, anche a Salerno un buon numero di Diaconi lavora nelle Caritas Parrocchiali e/o svolge il suo Ministero in Ospedali, Carcere, Case di Cura o per Anziani.
In particolare è attivo il Centro di Ascolto della Caritas Diocesana, affidato al coordinamento di un Diacono.
Il Centro di Ascolto è un ”antenna del territorio diocesano” e fa fronte ai bisogni emergenti, alla presa in carico delle persone e/o ai nuclei familiari in difficoltà, alla diffusione della cultura della solidarietà. Esso è anche e soprattutto rivolto all’ascoltare con attenzione, a comprendere, a dare fiducia, ad accogliere e a promuovere l’aspetto umano; è un efficace strumento collegamento e di riferimento per le persone in difficoltà.
Fondamentale è la formazione degli operatori e responsabili dei vari centri attivi in Diocesi
Diocesi di Sant’Angelo dei Lombardi, Conza, Nusco, Bisaccia
I quattro diaconi permanenti della Chiesa di Sant’Angelo dei Lombardi, Conza, Nusco, Bisaccia sono impegnati nell’equipe della Caritas Diocesana e tre di loro con compiti specifici: vice direttore, coordinatore del volontariato e responsabile del prestito della speranza.
Il prestito della speranza è lo strumento con il quale la Conferenza Episcopale Italiana sostiene l’accesso al credito a condizioni agevolate a persone microimprese in condizioni di vulnerabilità economica.
In questo modo la CEI intende aiutare l’inclusione sociale e lavorativa della persona, mediante un’assunzione di responsabilità personale e una libertà di iniziativa per favorire una ripresa economica e creazione di lavoro.
L’attività creditizia è svolta dalla Banca Prossima con la garanzia di un “Fondo di Garanzia” nato nel 2009 e incrementato dal contributo di soggetti privati e istituzionali. I soggetti interessati possono rivolgersi alle Caritas Diocesane e altre reti fiduciarie convenzionate.
Uno di loro è inserito nella Caritas parrocchiale in cui svolge il servizio diaconale.
Nella Diocesi non ci sono state e non ci sono esperienze di Diaconie.