Ministerialità Missionaria
*Ministerialità Missionaria
di Gaetano Marino
La vitalità e lo spirito evangelico di una comunità parrocchiale si misura dall’attenzione che essa offre agli ultimi, gli ammalati, gli anziani, i disadattati, gli emarginati… esprime se stessa quando si lascia coinvolgere nell’azione pastorale. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto di coloro che soffrono, sono pure le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla di genuinamente umano che non trovi eco nei nostri cuori. La loro comunità infatti è formata da uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo e guidati dallo Spirito Santo, si sentono realmente e intimamente solidali con il genere umano e con la sua storia” (Gaudium et Spes, n.1).
Non si deve giungere al punto che gli ultimi bussino alla porta della parrocchia e “come Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia e infermità…così anche la Chiesa attraverso i suoi figli si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, soprattutto ai poveri e ai sofferenti, prodigandosi volentieri per loro”(Ad Gentes, n. 12), così si deve essere presenti dove c’è un bisogno. La parrocchia è una comunità che incarna la Chiesa nel tempo, nello spazio e in persone concrete e “rappresenta in un certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra”(Sacrosantum Concilium, n.42), ne scaturisce che la missione della Chiesa si rende presente e concreta nella comunità parrocchiale[1]. E’ nella comunità parrocchiale che si vivono i frutti dell’evangelizzazione e della cura pastorale degli ultimi come attuazione della missione affidata da Cristo alla Chiesa, e poiché la Chiesa scopre se stessa nell’azione pastorale, si edifica quando agisce e mentre agisce costruisce, l’attenzione agli ultimi è un’opportunità da non perdere. Un vero e proprio servizio di fratelli ad altri fratelli. Il servizio è proprio del ministero ordinato, al diacono è affidata la diaconia cristiana, che si esprime e si identifica per il prossimo e il servizio ai fratelli[2], esso coinvolge anche il laicato[3], sarebbe un vero e proprio errore chiudere la Chiesa ai carismi e ministeri, suscitati dallo Spirito, carismi che possono diventare stabili, riconosciuti ed utili per la comunità e maturare ministeri[4]. I documenti del Magistero prospettano di istituire altri ministeri laici che trovino attuazione nella Chiesa[5].
E’ necessario che i ministri istituiti e di fatto continuino la formazione[6], la spiritualità e la prassi pastorale a favore degli ultimi facendo capo al diacono, mentre il presbitero coordina, verifica e conferma. Il diacono animatore che aiuta i laici ad esercitare i propri carismi, collabora alla loro formazione umana e cristiana nella prassi pastorale, lì aiuta a fare esperienze concrete. Significativo potrebbe essere l’istituzione di un gruppo itinerante che favorisca forme di apostolato , di coinvolgimento, di preparazione, mediante incontri settimanali o mensili, per una riflessione, per una verifica di ciò che si è fatto, allo scopo di sensibilizzare la forza della parrocchia e del decanato itinerante[7].
La presenza del gruppo itinerante, formato da un’équipe di persone, è una forza che la Chiesa possiede a servizio degli ultimi, è segno di progresso e di scientificità, la sua mancanza, inevitabilmente, porta a trascurare l'incontro con i malati e i loro familiari, gli anziani, i diversamente abili, i disadattati, gli emarginati, l'animazione di gruppi e associazioni, la promozione del volontariato. Una testimonianza di chiesa aperta alla speranza e alla salvezza, un’immagine di chiesa “tutta ministeriale”[8] con un unico scopo, la crescita della comunità nella corresponsabilità che favorisca il dialogo, la conoscenza, l'amicizia, un'apertura specifica che raggruppi, analizzi, discuta, formi progetti, un’apertura alle forme di povertà in modo che chi è nel bisogno si senta soggetto attivo in comunità. La promozione di piccole comunità che formano nella prassi pastorale la “comunione di comunità”, arrivando a “sollevare i presbiteri da funzioni e preoccupazioni che non sono proprie, contribuendo così a rendere più autentico il ministero presbiterale”[9], uscendo dal tempio, percorrendo le strade del mondo, incontrando l’uomo nella sua specifica e reale condizione di vita, toccando con mano le varie povertà prima nel fare e poi nel parlare.
Si pensi ad esempio alla malattia che interrompe l'abituale ritmo di vita, mette in crisi i soggetti con il proprio corpo e con il mondo sociale, fa perdere o modifica i ruoli professionali e familiari, procurando un disorientamento e spesso la perdita della propria identità. Durante la malattia si sperimentano limiti esistenziali, si entra in crisi, si è portati facilmente alla delega, ad affidare ad altri la conduzione della propria vita. Anche la fede viene messa in discussione. In questa stagione di prova, la Chiesa, pone la sua attenzione al sofferente, sa che egli desidera ricevere la “buona notizia”, l’annuncio[10]. In questo ambito si pensi in particolar modo al ministro straordinario della sacra comunione e all’operatore di pastorale dei malati, che guidati dal diacono potranno esercitare il “ministero dell’alleviazione” evitando di operare solo in momenti straordinari, rivalutando il ministero facendone vivere una spiccata sensibilità attraverso: colloqui personali, incontri comunitari, la preparazione per i momenti sacramentali, la preparazione alle celebrazioni liturgiche. In questa prospettiva, positiva potrebbe essere la celebrazione della messa in casa del malato. L'Actio pastoralis del 15.5.1969 dice: "tra i gruppi particolari per i quali è consentito celebrare l'Eucarestia si possono annoverare: i gruppi familiari riuniti attorno a persone malate o anziani, che non possono uscire di casa e che altrimenti non potrebbero partecipare alla celebrazione eucaristica[11]”. Per la celebrazione della messa potrebbero essere attuati alcuni accorgimenti: l’avviso al malato, con partecipazione dei familiari e coloro che assistono l’infermo, eventualmente dei vicini di casa, scelta di letture adatte e partecipazione libera alla preghiera dei fedeli. Quindi ci sarebbe un aspetto catechetico e un aspetto missionario. Il gruppo itinerante va a casa del malato: la preparazione alla celebrazione, la sperimentazione del senso dell’accoglienza e dell’ospitalità, i momenti di incontro anche tra i lontani, persone che difficilmente si avvicinano ai sacramenti, tutto questo favorisce un’autentica comunità che si incontra e si riunisce per vivere l‘Eucaristia.
Un modello per una corretta prassi pastorale è l’esempio datoci da Gesù nella parabola del buon Samaritano in cui mette in evidenza la necessità di una carità continua, gratuita, senza diaframmi culturali o religiosi e lo fa utilizzando una serie di espressioni, come vedere, sentire compassione, farsi vicino, curare le ferite, prendersi cura…. Tutte queste parole diventano valori che evidenziano il modo di farsi compagno di viaggio di chi è nel bisogno.
[1] Cfr. GRANDI V., Accanto ai malati della parrocchia, Torino 1992, p. 7.
[2] Cfr. KASPER W., Diacono: una prospettiva ecclesiologica tra le attuali sfide nella chiesa e nella società, in Il diaconato in Italia, 108(1998), pp. 15-16.
[3] “La Chiesa è nata con il fine di rendere, mediante la diffusione del Regno di Dio Padre, partecipi tutti gli uomini della redenzione salvifica e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo. Tutta l’attività del corpo mistico ordinata a questo fine si chiama apostolato, che la Chiesa esercita attraverso tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi”.
Apostolicam Actuositatem, Decreto sull’Apostolato dei laici del Concilio Vaticano II,18 novembre 1965, n. 2;
“Nostro Signore Gesù Cristo…rende partecipe tutto il suo corpo di quella unzione dello Spirito con la quale è stato unto; in esso infatti tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale… Non vi è dunque nessun membro che non abbia parte alla missione di tutto il corpo”.
Presbyterorum Ordinis, Decreto sul Ministero e la vita sacerdotale del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965, n. 2.
[4] Cfr. MARINELLI F., Sacramento e ministero, tra teologia e pastorale, Casale Monferrato (AL) 1990, pp. 12-13.
[5] Cfr. CEI, Evangelizzazione e ministeri, 15 agosto 1977 n. 62.
Inoltre, va considerato che nella Chiesa ci sono:
a) ministeri ordinati (vescovo, presbitero, diacono);
b) ministeri istituiti (lettorato e accolitato);
c) ministeri di fatto (ministri straordinari della sacra comunione e catechisti).
[6] La Diocesi di Napoli offre ai laici diverse opportunità formative, con programmi di formazione del P.U.F. (Progetto Unitario di Formazione per Operatori Pastorali).
[7] Il diacono certamente non può fare tutto da solo, significativa è l’istituzione di una équipe formata da accoliti, lettori, ministri straordinari della sacra comunione, operatori di pastorale dei malati, semplici fedeli, che in comunione, diventino presenza e compagni di viaggio alleviando la sofferenza altrui.
[8] Cfr, URSI C., Chiesa tutta ministeriale. I ministeri nella Chiesa di Napoli, in Una vita in dono, Napoli 1981, pp. 145 - 188.
[9] CEI, La restaurazione del diaconato permanente in Italia, 8 dicembre 1971, n. 18.
[10] Cfr. MARINO G., I diaconi cappellani in ospedale?, in Il diaconato in Italia, 117(2001), pp. 17-18.
[11] Actio pastoralis del 15.5.1969, E.V.III, 1158-1172.
*MARINO G., Ministerialità missionaria, in Il diaconato in Italia, 132(2005), pp. 23-25.
Uscire dalle mura della parrocchia per andare verso i cortili della città
USCIRE DALLE MURA DELLA PARROCCHIA PER ANDARE VERSO I CORTILI DELLA CITTA’
di Gaetano Marino
In questi ultimi tempi, si parla tanto della necessità di uscire dalle mura parrocchiali per essere segno di vitalità cristiana, per rappresentare una dinamica pastorale che investa tutte le categorie di persone nei luoghi dove vivono, superando barriere di cultura e di razza: una missione che permetta di incontrarsi con quanti vivono in ambienti socio-familiari ed istituzionali, che se lasciati a se stessi con il tempo possono allontanarsi ancor più dalla Chiesa percorrendo forme di individualismo e di indifferenza che non permettono una crescita d’insieme: lo dicono il Pontefice, il Cardinale di Napoli e tantissimi vescovi. Noi diaconi crediamo che ciò possa attuarsi tenendo presente che il territorio è un luogo di salvezza, di dialogo, di incontro per vivere il dono della presenza di Dio che si inchina all’uomo, dandogli la speranza della vita eterna.
Questo invito ha uno scopo e cioè quello di sporcarsi le mani, superando le inquiete frontiere della storia, evitando luoghi di difesa, di conservazione, superando le false certezze della fede. Uscire per sentirsi comunità in cammino, per ridare Dio al popolo, per condividere con esso il cammino esistenziale; uscire significa portare fuori la fede come stile di vita, Dio non può continuare ad essere adorato nei tabernacoli e nei momenti sacri, e non riuscire ad entrare nella vita quotidiana, nei luoghi sociali dove si consuma il tempo, dove si lavora, si progetta, si soffre, si inganna, si gioisce, per cui nasce la necessità che la comunità venga formata a testimoniare dappertutto Cristo affinché si attui l’incontro con gli altri, fino a vivere la giustizia con cuore rinnovato dal logos.
In questo il diacono ha una grande responsabilità perché nel nostro tempo tanti sono lontani da Dio per cui esiste una dicotomia tra fede e vita, il diacono può orientare il cristiano a vivere la fede e la vita, presta la sua opera nella famiglia, nel lavoro e nella comunità, non è colui che sostituisce i laici perché sono essi che devono evangelizzare nei luoghi dove vivono, ma chi prepara, accompagna e sostiene questi fedeli nella vita cristiana e diventa animatore di questa presenza nella Chiesa. Bisogna che si riscopra il senso di appartenenza alla Chiesa, occupandosi delle reali necessità della parrocchia, intesa nella sua interezza che coinvolge tutto il suo territorio per dare la propria disponibilità al servizio, per sollevare il parroco dai molteplici compiti, per ascoltare coloro che si incontrano, per farli leggere in un contesto d’insieme, per riscoprire la cultura del dialogo e riproporre Cristo. Occorre puntare sulla formazione che dia un serio aiuto per creare sintesi tra fede e vita, per percorrere la strada delle scelte, delle decisioni, per essere presenza viva al cospetto di chi si trova sul proprio cammino; puntare a formare in parrocchia una équipe di persone che vivono il proprio tempo accompagnando tanti che trovano e incontrano sulla propria strada, incominciare a ragionare in termini di cammino, di itinerario, di percorso di vita cristiana che continua anche dopo aver ricevuto i sacramenti: una comunità parrocchiale che si preoccupa di allacciare rapporti comunitari creando il senso di appartenenza che aiuta a leggersi in un contesto ben preciso. In questo modo la parrocchia non è e non sarà mai una stazione di servizio, ma una comunità missionaria, strutturata oltre dalla Parola e dai Sacramenti dal dialogo, da relazioni umane comprensibili.
Una comunità sensibile ed aperta testimonia con la vita il suo grande amore per la Chiesa. Questa formazione permette di avere una coscienza critica per scelte coerenti verso il mondo, per incontrare e trovare Gesù in chi presenta dei bisogni, in chi soffre, in chi si è posto lontano, in chi si sente poco amato perché è sulle ferite che dovremmo versare l’olio dell’amore, il balsamo della preghiera; di avvicinare tanti, partendo dalle periferie, da coloro che sono più lontani, che non frequentano la parrocchia.
Usando le parole del pontefice: “Promuovere la cultura dell’incontro perché in molti ambienti si è fatta strada la cultura dell’esclusione e dello scarto”: la necessità quindi di andare incontro a tanti con una mentalità controcorrente, accogliendoli, dimostrando di non escludere nessuno in una società dove non c'è posto né per l’anziano, né per il figlio non voluto, dove non c’è tempo per fermarsi perché ci sono altre cose a cui pensare. La solidarietà e la fraternità rendono più umana la nostra civiltà. Questo stile di cristianità dà testimonianza di chiesa aperta alla speranza e alla salvezza, immagine di chiesa “tutta ministeriale” con un unico scopo, la crescita della comunità nella corresponsabilità che favorisca il dialogo, la conoscenza, l'amicizia, un'apertura specifica che raggruppi, analizzi, discuta, sperimenti progetti, un’apertura alle forme di povertà in modo che chi è nel bisogno si senta soggetto attivo in comunità.
*MARINO G., Uscire dalle mura della parrocchia per andare verso i cortili della città, in Il diaconato in Italia, 185(2014), pp. 42-43.
Prossimo fino alla condivisione
PROSSIMO FINO ALLA CONDIVISIONE*
di Gaetano Marino
Ritengo che il ministero del diaconato venga esercitato nel soccorso ai bisognosi e nella continua formazione dell’unità cristiana costruendo e custodendo un tessuto di carità che promuova la comunione interpersonale per porsi di fronte a tutti coloro che sono socialmente deboli: poveri, ammalati, anziani, diversamente abili.
Prezioso è l’esempio trasmessoci da Nostro Signore Gesù Cristo che ha evidenziato come vivere lo spirito della diaconia, partendo dagli apostoli. In questo non possiamo esimerci dal dire che la Chiesa si fa spazio nel mondo attraverso il diacono, per cui il servizio propostoci da Cristo e trasmessoci dagli apostoli, si rivolge in particolar modo agli ultimi e usando le parole del nostro pontefice “allo scarto della società”. In questo, la diaconia è determinante perché assume un importante significato sociale. Da premettere che il servizio non è esclusivo dei diaconi, ma di tutti gli appartenenti alla Chiesa, in particolar modo da chi è insignito dell’ordine sacro.
Il diacono, rispetto ai confratelli maggiori nell’ordine, è facilitato perché vive gli stessi problemi sociali e familiari di tanti e quindi si pone come fratello capace di fare un tratto di strada insieme per vivere e testimoniare la fratellanza, per donare gratuitamente la sua presenza, per ricostruire un tessuto che il tempo ha lacerato: un passo determinante per ricostruire la comunità. Da queste considerazioni possiamo elaborare un programma in cui si evidenzia: l’accoglienza, la condivisione e la compassione.
Analizzando la parabola del buon samaritano (Lc 10,33-37) ne posiamo trarre un modello per una corretta prassi pastorale in cui viene messa in evidenza la necessità di una carità continua, gratuita, che guarda l’altro con rispetto, considerandolo fratello alla pari. Si evidenziano diverse espressioni, come vedere, sentire compassione, farsi vicino, curare le ferite, prendersi cura; parole che vissute diventano valori, che mettono in auge come agire per farsi compagno di viaggio con coloro che si trovano a vivere un bisogno.
Troviamo che il samaritano ebbe compassione, la sua umanità si trasformò in solidarietà, tutto passa attraverso l’attenzione, il leggere una situazione e poi l’azione diventa dono non soltanto di sé, ma anche delle sue risorse. La compassione (soffrire con) indica un atteggiamento attivo nei confronti del dolore altrui, non è rendersi superiore, ma lasciarsi toccare dalle debolezze altrui. Il diacono per vivere questo modello è chiamato a superare le barriere che separano o impediscono di farsi prossimo per offrire la sua presenza anche a chi non l’ha richiesta: ammalati, anziani, morenti, e familiari di queste persone, rendendosi visibile e disponibile attraverso la presenza che diventa dono di amicizia, di dialogo. Quindi si tratta di parlare ai poveri, agli ammalati, agli anziani, ai diversamente abili e interagire con loro. Gesù non aggiunge un nuovo insegnamento teorico sui doveri da assumere, ma ne propone una nuova visuale e dona una nuova possibilità per attuarla nel quotidiano, ci riporta a riflettere non su chi è il prossimo, ma su come si diventa prossimo: questa è la diaconia, un nuovo modo di vivere la cristianità, di non percepire un amore distante, lontano, ma un inchinarsi a chi mi sta di fronte.
Un diverso modello di rispettare l’altro come se stesso, riconoscere l’individualità di ognuno, un chinarsi su chi può aver sperimentato le miserie umane e morali, un modo diverso di relazionarsi dove l’altro aspetta un aiuto, una presenza, è lì che deve farsi prossimo, arrivare ad essere operatore di relazione, di salvezza che liberi dalle numerose miserie moderne per dare un’opportunità a tanti di sentirsi accolti, amati, liberati, e come Gesù per ognuno di noi garantisce il Suo amore, così dobbiamo accogliere quanti attraversano la nostra scia esistenziale.
Nell’azione pastorale, noi diaconi dobbiamo essere prossimo. La parabola ci riporta una preziosa testimonianza di condivisione e di accoglienza che si esprime in piccoli gesti che ci fanno capire l’importanza di riconoscere l’altro come fratello, di accoglierlo e condividere le sue sofferenze accompagnandolo e fornendogli quelle prestazioni caritative con disponibilità, percorrendo un tratto di strada senza mai tirarsi indietro ed accogliendo fino in fondo il grido di protesta, di ribellione, facendosi compagni di cammino.
Essere capaci di riscaldare il cuore delle persone ferite, di camminare con loro, di saper dialogare, di toccare con mano le loro difficoltà guardando avanti senza mai perdersi, significa entrare nel concetto di Chiesa che non indica solo semplice accoglienza, ma che è capace di uscire dalle quattro mura ed andare verso chi non la frequenta, chi si è allontanato, verso coloro che, pur considerandosi cristiani, nel corso della loro vita sono diventati indifferenti. Come sarebbe bello se questa linea venisse vissuta e trasmessa come frutto di fraternità diaconale, porsi attorno ad un tavolo rotondo dove tutti sono vicini e nello stesso tempo si osservano, si leggono, si trasmettono tante cose, ascoltano la voce dello Spirito. Riscoprire e vivere il dono della diaconia, come ci viene trasmesso dall’insegnamento delle prime comunità cristiane che si riunivano, respirando l’ossigeno dell’amore di Dio, diventa per tutti un obiettivo da raggiungere.
*MARINO G., Prossimo fino alla condivisione, in Il diaconato in Italia, 190(2015), pp. 28-29.
Il Diacono nella Evangelii Gaudium
IL DIACONO NELLA EVANGELII GAUDIUM*
di Gaetano Marino
E’ da tempo che mi soffermo su quanto asserisce papa Francesco che la Chiesa non è una ong, essa trasmette un messaggio. Nella Evangelii Gaudium viene evidenziato che il messaggio in opere e parole costituisce l’umanità della Chiesa, il servizio come dono di un amore più grande, in particolar modo una sensibilità verso i poveri, la scelta di vivere a fianco di chi presenta bisogni, come risultato di un itinerario di vita. E’ opportuno che questa realtà venga maggiormente interiorizzata per essere vissuta tra quanti incontriamo sul nostro cammino: un’apertura verso se stessi e verso gli altri che porta prima di agire a mettersi in discussione fino ad arrivare a sporcarsi le mani. Sappiamo che il diacono viene ordinato per il servizio, vive in mezzo alla gente, trova il suo specifico nel mondo del lavoro, nella società, nella famiglia e nella comunità parrocchiale, una presenza disponibile che aiuta tanti ad affrontare la vita, in quanto possiede in pectore componenti esperienziali che lo portano a sentirsi unito a coloro che incontra sulla sua strada, che esprime il suo amore in sintonia con l’amore di Cristo, in quanto è Lui che opera: un consacrato che sa unire amore e donazione, arrivando al cuore della gente, toccando le ferite umane e sociali per allontanare le nuvole che oscurano la coscienza e privano la dignità di tanti. Posso dire che attualmente le parrocchie in cui operiamo sono diventate luoghi di presenza di tantissime persone che non vengono soltanto per problemi spirituali, ma nella stragrande maggioranza dei casi per quelli sociali, economici e familiari. Tante di esse non hanno più fiducia nelle istituzioni, si sentono smarrite, deluse, manifestano un bisogno, per cui bisognerebbe leggere queste situazioni come “segno dei tempi” e, particolarmente, stare attenti che la nostra disponibilità ad ascoltare ed aiutare non arrivi ad essere vista come sostituzione di chi nella società deve garantire il minimo necessario per una vita dignitosa.
Il nostro ruolo di sensibilizzare nell’assoluta discrezione è quello di chi non cerca proselitismi, ma che attraverso la continua presenza, il farsi prossimo a chi manifesta un bisogno, con atteggiamento umile, trasmette fiducia per ricostruire un tessuto lacerato: un percorso che manifesti l’amore di Dio che mediante la croce ci attira a sè e che vuole operare sanando tutto l’uomo. Il farsi compagno di viaggio, con l’unica certezza che Dio ama con il mio amore, opera con le mie mani e colma i vuoti generati nel percorso esistenziale, non è un aiuto mirato a soddisfare particolari bisogni, ma per ricostruire tutto l’uomo, aiutandolo a vivere le varie fasi della sua vita, un aiuto verso i più deboli considerando che questo punto mette in evidenza la capacità di aiutare tanti, facendosi prossimo soprattutto nei momenti di dolore, ogni volta che con umiltà andiamo incontro a qualcuno che si sente alienato, combattuto da un bisogno nel condividere le sue sofferenze. Credo fermamente che questo comportamento aiuti a portare la croce stessa di Gesù.
Nella prassi pastorale non dobbiamo mai dimenticare che siamo chiamati a vivere la missione di Cristo in letizia. In questa prospettiva viene superato l’individualismo, un aspetto che facilmente si può manifestare quanto ci si sente troppo sicuri di sé e il personalismo, per questo è opportuno che siano usate strategie che agiscano come segni premonitori, altrimenti c’è il rischio che un lavoro pastorale, svolto in tanti anni, possa da un momento all’altro generare danni, concepire una gravosa perdita di tempo, creando frustrazioni e separazioni verso tanti: vivere una conversione pastorale in missione.
Bisogna anche aggiungere che le povertà non sono soltanto dei residenti, ma anche dei rom, extracomunitari, emigranti che bussano a cui non sempre siamo capaci di dare una risposta se non quella di lenire superficialmente i loro bisogni. Noi abbiamo in eredità la Parola che si annuncia con la vita, Essa è forza e volontà di Dio, non rende deboli, è necessario che l’audacia nel viverla e trasmetterla a tanti diventi un annuncio ed una denuncia contro chi non ama se non se stesso, escludendo gli altri: un’ evangelizzazione viva negli atteggiamenti, nei pensieri, nelle azioni di ogni giorno.
Da quanto detto, usando le parole del pontefice, la Chiesa è un ospedale da campo e noi non dobbiamo sostituirci a risolvere i problemi sociali, ma essere attraverso la denuncia, il sostegno, il braccio di chi ha perso la propria dignità, come missionari, con un preciso stile che non pretende di far rumore, ma di sensibilizzare ed essere motivo di un riscatto, di una presa di coscienza, in caso contrario, quando ci si lascia prendere dall’emozione del momento, quando si vuole dare una risposta immediata, definitiva, ci si rende conto che si è limitati per cui possono nascere crisi nel diacono per una mancata soluzione dei problemi, per cui bisogna stare molto attenti perché esiste un serio pericolo: la gente non viene educata a vedere e vivere nella Chiesa come una famiglia, ma come un supermercato dove tutto è possibile.
Pur considerando, che ogni bisogno è diverso dall’altro, per poter intervenire attraverso un serio equilibrio è necessario che ci sia un gruppo di persone preposte, che analizzi e continuamente si porti a monitorare questi bisogni per essere in sintonia con la Chiesa. Il diacono, in questa società, è chiamato a trasmettere un comportamento che è valore di vita e ad educare quanti incontra sul suo cammino per condividere e tutelare l’azione della Chiesa.
*MARINO G., Il diacono nella Evangelii Gaudium, in Il diaconato in Italia, 191(2015), pp. 57-58.
Identità e Spirito di Servizio del Diacono Permanente
IDENTITA’ E SPIRITO DI SERVIZIO DEL
DIACONO PERMANENTE
(Studio teologico-pastorale su “Identità e spirito di servizio del diacono permanente” voluto dal compianto Mons. Filippo Strofaldi, Vescovo delegato della conferenza episcopale campana, in occasione dell’incontro di fraternità e di spiritualità dei diaconi della Regione Campania a Pompei, 30 maggio 2003)
Ci chiediamo, chi è il diacono? Il diacono non è un laico, ma un consacrato che fa parte della gerarchia ecclesiastica. A tal proposito, la Lumen gentium (LG) n. 28 afferma: “il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi”. Ai diversi gradi di partecipazione al ministero del vescovo corrispondono diversi ordini e conseguentemente una subordinazione diretta del diacono al vescovo, che comprende la collaborazione con i presbiteri, i quali, a loro volta, partecipano al ministero del vescovo, pertanto il diacono fa parte 'pleno jure' della gerarchia dopo il vescovo e il presbitero e “non appartengono al laicato”[1].
Il Decreto, Ad Gentes, promulgato il 7 dicembre 1965 dice: “laddove le Conferenze Episcopali lo riterranno opportuno, si restauri l'ordine diaconale come stato permanente (...) siano conformati e stabilizzati per mezzo dell'imposizione delle mani, che è tradizione apostolica, e siano più saldamente congiunti all'altare, per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale del diaconato”[2].
Il “carattere sacramentale di questo Ordine”, è un aspetto della natura del diaconato, che viene messo in rilievo dai documenti conciliari. Le loro citazioni non destano alcun dubbio che si tratti “di un sacramento, di una ordinazione e di una grazia sacramentale, conferita attraverso l'imposizione delle mani”[3].
Non una semplice delega, come ministro di fatto, “ma una vera consacrazione che lo vede inserito nell'Ordine sacramentale, come stato permanente di vita”[4] che gli imprime un carattere indelebile e non può più teologicamente, ritornare allo stato laicale.
Questo inserimento del diacono nel Ministero ordinato, avviene come partecipazione propria alla sacramentalità non del presbitero, ma dell'episcopato, il quale racchiude la pienezza del Sacramento dell'Ordine ed è esso solo che può trasmettere questo sacramento nella sua pienezza e nelle sue partecipazioni inferiori dei presbiteri e dei diaconi. La partecipazione sacramentale del diaconato è diversa e ridotta rispetto a quella del presbiterato, ma tuttavia reale; essa si compie come aiuto e assistenza ai vescovi e ai sacerdoti nello svolgimento del loro ministero e come servizio all' intera comunità ecclesiale[5].
Il Concilio Vaticano II definisce il diacono come un ministro del servizio a cui sono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per il ministero”[6], “intende dire che egli pur partecipando nel suo grado del sacerdozio ministeriale, non è tuttavia ordinato a consacrare il corpo e sangue di Cristo e in genere a svolgere l'ufficio di presidenza nell'assemblea liturgica, ma piuttosto a servizio del vescovo, del sacerdote e del popolo cristiano, mediante l'esercizio di determinate funzioni gerarchiche”[7].
[1] RAHNER K., L’insegnamento del Vaticano II sul diaconato e la sua restaurazione, in AA.VV. Il diaconato nella Chiesa e nel mondo oggi, Padova 1968, p. 350.
[2] Ad gentes, Decreto sull'attività missionaria della Chiesa dal Concilio ecumenico Vaticano II, 7 dicembre 1965, 16 f (d'ora in avanti,abbreviato in A G).
[3] RAHNER K., art. cit.,p. 352.
[4] ROCCHETTA C.,L’identità del diacono nella preghiera di ordinazione, in AA.VV., Il diaconato permanente, Napoli 1983, p.80.
[5] Cfr. ROCCHETTA C., art. cit., p. 82.
[6] Questa formula è riportata nella Costitutiones Ecclesiae Aegyptiacae la quale è un adattamento della Tradizione Apostolica di Ippolito. Si afferma: non ad sacerdotium, sed ad ministerium Episcopo. Successivamente la formula è passata negli Statuta Ecclesiae antiqua senza il genitivo episcopi; da qui la stessa formula è poi entrata nel Pontificale Romano da dove però è stata soppressa da un decreto della Congregazione dei Riti del 1950. Cfr. ROCCHETTA C., art. cit., p. 82.
[7] GIGARIN G.P., Il diaconato nella lex orandi: “non per il sacerdozio ma per il ministero”, in Il diaconato in Italia, 101-102(1996) p.41.
L'ordinazione 'per il servizio' significa che al diacono è affidata la diaconia cristiana, che si esprime e si identifica nell'amore per il prossimo e il servizio ai fratelli. Non bisogna dimenticare che il carattere di servizio è proprio del ministero ordinato, ai tre gradi dell'Ordine va richiesto di esercitare la diaconia di Gesù Cristo, ai poveri e bisognosi, e di promuoverla nella Chiesa[1].
Inoltre, va considerato che la Costituzione dogmatica LG richiama, che nella Chiesa esistono due ordini di sacerdozio, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale gerarchico, distinti tra loro, non solo per grado e ordinati l'uno all'altro[2]. “Il sacerdozio Comune e il sacerdozio ministeriale quantunque differiscono essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l’uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo”[3]. E' poiché il ministero del diaconato viene conferito attraverso il sacramento dell'Ordine, e fa parte della gerarchia della Chiesa, il diacono non rimane nel sacerdozio comune, ma ha “una certa partecipazione al sacerdozio ministeriale e gerarchico”[4], in cui si riconoscono diverse competenze nel ministero liturgico e sacramentale[5].
In conclusione “il diacono ha la sua sorgente nella consacrazione e nella missione di Cristo. Mediante l'imposizione delle mani e la preghiera consacratoria, egli viene costituito ministro sacro, membro della gerarchia. Questa condizione determina il suo stato teologico e giuridico nella Chiesa”[6].
RUOLO DEL DIACONO PERMANENTE NELLA VITA PASTORALE
Ministero della carità
Il ministero della carità nasce e si sviluppa nella consacrazione eucaristica, per il diacono, si manifesta e si consuma nel soccorso ai bisognosi e nella continua formazione dell'unità cristiana. Questo inscindibile legame tra l'altare e il servizio ai bisognosi fa del diacono un “sacramento” vivente, segno di Cristo che passa operando il bene[7].
Compito primario del diacono è costruire e custodire un tessuto di carità, che deve connettere tutti
[1] Cfr. KASPER W., Diacono: una prospettiva ecclesiologica tra le attuali sfide nella Chiesa e nella società, in Il diaconato in Itaklia, 108(1998)pp.15-16.
[2] Cfr. ROCCHETTA C., art. cit., p. 82.
[3] Lumen gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio ecumenico Varticano II, 21 novembre 1964, l0 b (d’ora in avanti, abbreviata in L.G.).
[4] GHIRLANDA G., Diacono (diaconus), in Nuovo dizionario di diritto canonico, Torino 1993, p.339.
[5] Il diacono è escluso dal "sacerdozio", se si intende con ciò il potere di "presidenza" dell'assemblea eucaristica. Fa parte dell'Ordine sacramentale, se si intende con ciò il sacramento dell'Ordine in generale, il servizio dell'altare e dei sacramenti. Se si distingue fra un "sacerdozio comune" dei fedeli e un "sacerdozio ministeriale gerarchico", sembra che il diacono che è ordinato sacramentalmente come "ministro" di Cristo e della Chiesa, debba essere posto a fianco del "sacerdozio ministeriale e gerarchico". Cfr. KERKVOORDE A., Abbozzo di una teologia del diaconato, in AA.VV., Il diaconato nella Chiesa e nel mondo, Padova 1968, p . 285.
Nel testo di AUER J. – RATZINGER J., La chiesa universale sacramento di salvezza, Assisi 1981, p. 440, gli autori su questo argomento affermano che: “(…) la risposta diventa giusta se consideriamo il ‘ministero sacerdotale’ realizzato non soltanto nelle funzioni sacerdotali della celebrazione della messa e nella remissione dei peccati, ma lo comprendiamo nella sua ‘intima partecipazione all’opera di Cristo stesso’. ’Tutto ciò che il diacono compie nell’esecuzione del suo ministero, lo compie ‘in Cristo, con Cristo e per Cristo’; la sua opera rappresenta in tutto l’opera di Cristo anche quando compie quella stessa azione che, prima della sua consacrazione, compiva da laico”.
[6] Congregazione per l’educazione cattolica/Congregazione per il clero. Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti - Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, città del Vaticano 1998, n. 1 (d'ora il avanti, abbreviato in DMPD).
[7] Cfr. Atti 10,38.
interpersonale e di fede, di rispetto e di aiuto a tutte quelle persone che sono socialmente deboli: poveri, ammalati, anziani, handicappati[1]. Il diaconato concorre così a costruire la Chiesa e a dare un’immagine più completa al disegno di Cristo[2].
Il ministero diaconale sottolinea il valore del “servizio” espresso dalla carità, che è specifico della gerarchia[3], esercitato in comunione con il vescovo e con i presbiteri, come lo esige la stessa unità di consacrazione e di missione. Possono essere esercitate dal diacono le opere di carità diocesane o parrocchiali, il servizio di carità nell'area dell'educazione cristiana; l'animazione degli oratori, dei gruppi ecclesiali giovanili e delle professioni laicali; la promozione della vita in ogni sua fase secondo l’ordinamento cristiano[4], e poiché il servizio caritativo esige competenza e libertà di movimento è più facile trovare nei diaconi una presenza che metta in risalto la “diaconia”, come servizio di carità ad ogni uomo[5].
Del resto la Lumen gentium afferma che i diaconi permanenti sono “istituiti per la cura delle anime”[6], un notevole passo avanti, considerando che questo ministero è stato sempre riservato ai presbiteri; lo stesso Pontefice Paolo VI nella Lettera apostolica Sacrum Diaconatus Ordinem afferma che i diaconi permanenti possono “guidare legittimamente, in nome del parroco e del vescovo, le comunità cristiane disperse”[7]. In queste comunità il diacono può celebrare la Parola di Dio, può battezzare, conservare l' Eucaristia, può esercitare tutte quegli uffici che gli sono concessi dal suo ministero, ma non può celebrare l'Eucaristia, per cui queste piccole comunità hanno bisogno dell'integrazione del presbitero per la celebrazione dei sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione.
Questa autonomia non è distacco dalla Chiesa, sarebbe impensabile una simile cosa, i diaconi esercitano in nome del parroco e del vescovo, quindi reggono piccole comunità in nome e con l' autorità di Cristo. Una funzione missionaria, come nuovo orizzonte teologico-pastorale, che investe il ministero del diaconato permanente, da svolgere nei territori, negli ambienti, negli strati sociali, nei gruppi, dove manchi il presbitero.
Questo esercizio ministeriale prospetta la comunione, la formazione di famiglie di Dio, e in queste famiglie è chiamato a “promuovere, sostenere le attività apostoliche dei laici”[8], aiutare i laici ad esercitare, riconoscere e valorizzare i propri carismi e le proprie funzioni nella comunità e con l'aiuto dei laici riscoprirsi figura pastorale in settori significativi (carceri, ospedali, consultori), animatore del volontariato di ispirazione cristiana.
Ministero della Liturgia.
Il diacono ha il carisma di rendere presente in modo sacramentale “specifico” Cristo servo nella Chiesa e la Chiesa serva del mondo. Egli, quindi, non si riduce a fare qualcosa in ordine alla liturgia, ma ha un ruolo indispensabile di[9] “(...) amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l'Eucaristia, in nome della Chiesa assistere e benedire il matrimonio, portare il viatico ai moribondi, (...) presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, dirigere il rito funebre e della sepoltura”[10].
[1] Cfr. MONARI L., Il discernimento per l’esercizio del ministero diaconale, in Il diaconato in Italia 108(1998) p. 58.
[2] CEI, Evangelizzazione e ministeri, l5 agosto 1977, n.60 (d’ora in avanti, abbreviato in EM).
[3] CEI, La restaurazine del diaconato permanente in Italia, 8 dicembre 1971, art. 5 e 11(d’ora in avanti, abbreviata in RD).
[4] Cfr. DMDP n . 38.
[5] Cfr. RD, art.9 e 10.
[6] LG n.29b.
[7] PAOLO VI, Lettera apostolica Sacrum Diaconatus Ordinem, 18 giugno 1969, n.22,10(d’ora in
avanti, abbreviata in SDO).
[8] SDO n. 22,11.
[9] Cfr. URSI C., Chiesa tutta ministeriale. I ministeri nella chiesa di Napoli, in Una vita in dono, Napoli 1981, pp.165-166.
[10] LG 29a.
Ministero della Parola
Con la sua Parola, Dio manifesta il suo disegno di salvezza. L'esercizio di questo ministero introduce gli uomini di ogni tempo nel mistero della rivelazione di Dio. Quando la Parola di Dio viene letta, annunciata, spiegata nella comunità cristiana, si realizza un dialogo tra chi è preposto a tale compito e l'assemblea, e poiché la Parola è di Dio, il dialogo è tra Dio e il suo popolo.
L'annuncio della Parola si compie oggi nella storia della Chiesa, come evento che edifica la comunità cristiana. Tutto il popolo di Dio ne è destinatario. “E' ufficio del diacono (...) leggere la sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed educare il popolo”[1]. Questo ufficio è il principale ministero del diacono, non in assoluto, è la missione essenziale della Chiesa.
La Parola di Dio non è qualcosa di esteso, ma coinvolge tutto l'uomo fino a cambiarlo, ad essere testimone della verità, e poiché la Parola prima di essere annunciata deve essere accolta, mangiata, spezzata, meditata, “il diacono in forza del sacramento è chiamato a testimoniare lo spirito di servizio e ad animare mediante l'annuncio della Parola la comunità cristiana, ad attuare il servizio”[2], un dinamismo che coinvolge la comunità e la rende soggetto di salvezza.
Il diacono deve favorire la partecipazione non solo di chi fa parte della Chiesa, ma anche di chi è lontano da essa, egli si deve presentare come ponte tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune, tra il popolo che vive l'esperienza di Dio e il popolo laico che vive lontano dalla Chiesa. Egli, “ministro qualificato per la predicazione, per l'omelia, per la preparazione catechetica e pastorale dei candidati ai sacramenti, dei genitori e dei padrini per il Battesimo e la Cresima”[3], si colloca vicino al presbitero, come garante della fedeltà dell'annuncio, e vicino ai laici come modello, testimone, guida all'incarnazione della Parola e attraverso questa funzione diventa cinghia di trasmissione, punto di riferimento tra le diverse realtà socio-culturali in cui l'omelia fa emergere bisogni, attese, difficoltà della gente[4].
Poiché il bisogno più urgente per ogni persona è quello di conoscere Cristo e riconoscerlo nella propria vita come il Salvatore, il servizio più urgente è quello dell'evangelizzazione, cioè dell'annuncio del vangelo diretto a suscitare la fede. Il diacono, pertanto, è chiamato prima di tutto ad esercitare un ministero di evangelizzazione, stimolando nello stesso tempo ad esso la comunità. Egli è chiamato ad esercitare ed animare l'evangelizzazione in modo tipicamente “diaconale”, facendo conoscere Cristo, con la parola e la vita.
Bisogna riconoscere come primo campo di ministero per il diacono, quello di una evangelizzazione che raggiunge ogni uomo ed ogni gruppo umano nel suo ambiente naturale e contesto sociale, così da far nascere la realtà ecclesiale dove ancora non esiste e quindi l'esigenza dell'Eucaristia dove ancora non è percepita. Infatti, tale linea pastorale scaturisce dalla natura del carisma del diacono come animatore del servizio, particolarmente se lo si consideri “incarnato” nel contesto attuale, tenendo presente la scristianizzazione di larghi strati della nostra società[5].
[1] LG, 29a.
[2] COMITATO CEI PER IL DIACONATO, Norme e direttive per la scelta e la formazione dei candidati al diaconato, 21 aprile 1972, n. 6 (d'ora in avanti, abbreviato in SF).
[3] CEI, I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamento e norme, 1 giugno 1993, n.41(d’ora in avanti, abbreviato in ON) .
[4] Cfr. MONARI L.,art. cit., pp.55-56.
[5] Cfr. ALTANA A., Teologia e pastorale del diacono permanente, in AA.VV., Il diaconato permanente, Napoli 1983, pp. 53-54.
LA FORMAZIONE DEL DIACONO PERMANENTE
Premesso che oggi più che mai è necessario che la pastorale faccia i conti con la società complessa è indispensabile una formazione che sia capace di mettere in condizione ciascun cristiano di confrontarsi con la pluralità della cultura, di aprirsi al dialogo e di restare, al contempo, fedele alla sua identità, di immergersi nella realtà ascoltando, annunciando, testimoniando e servendo l’uomo nella carità. Ciò vale ancora di più per la formazione diaconale.
Questa formazione deve essere: “il mantenere vivo un generale e integrale processo di continua maturazione, mediante l'approfondimento (...) della formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale (...), a partire dalla carità pastorale”[1].
Formazione umana
La formazione umana ha lo scopo di “plasmare la personalità dei sacri ministri in modo che diventino ponte, e non ostacolo, per gli altri all'incontro con Gesù Cristo”[2]. Essi devono essere educati alle virtù umane, alle capacità di relazione, alla maturità affettiva, alla libertà e coscienza morale.
Queste componenti dovranno essere prese in considerazione tenendo conto dell'età e della formazione dei candidati per cui il direttore per la formazione e il tutore interverranno per la parte di loro competenza; il direttore spirituale non mancherà di prendere in considerazione questi aspetti, di verificarli nei collegi di direzione spirituale. E’ importante, quindi, la periodica frequenza ad incontri formativi e conferenze.
Formazione spirituale
La formazione spirituale prevede lo sviluppo delle qualità elencate nel documento restaurativo del diaconato permanente in Italia: virtù teologali, lo spirito di preghiera, l'amore alla Chiesa, idoneità al dialogo, buona intelligenza, serietà morale, prudenza, equilibrio e senso di responsabilità[3], inoltre, il candidato “dovrà acquisire atteggiamenti specificatamente diaconali, quali la semplicità di cuore, il dono totale e disinteressato di sé, l'amore umile e servizievole verso i fratelli, soprattutto i più poveri, sofferenti e bisognosi, la scelta di uno stile di condivisione e di povertà”[4].
La formazione spirituale costituisce il canone ed il centro unificante dell'itinerario formativo, che ha come fondamento la persona di Gesù Cristo[5] con la frequente partecipazione all'Eucaristia, la lectio divina, la liturgia delle ore quotidiana, il sacramento della penitenza e la direzione spirituale, i ritiri e gli esercizi spirituali, la devozione alla Vergine Maria serva del redentore[6].
Formazione teologico-culturale
Al di là delle conoscenze, il diacono deve apprendere l'uso critico della sua intelligenza, che gli consente il discernimento delle persone, ma anche degli eventi che si verificano nel contesto in cui è mandato ad operare.
Egli è un operatore che certamente non sa tutto e non è in grado di rispondere a qualunque quesito o risolvere qualunque problema, egli deve avere l'umiltà di informarsi, documentarsi e poi rispondere.
[1] GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabovobis, 25 marzo 1992, n.71 (d’ora in poi, abbreviata in PDV).
[2] Congregazione per l’educazione cattolica / Congregazione per il clero. Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti - Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, Città del Vaticano 1998, n.. 66 (d’ora in poi, abbreviate in NFFDP).
[3] Cfr. RD, n.30.
[4] NFFDP, n.72.
[5] Cfr. ON, n.25.
[6]Cfr. ON, n. 26
Il suo esercizio richiede una preparazione ed una formazione specifica; non si tratta di una generica forma di testimonianza cristiana o di apostolato, ma di una forma o grado di apostolato gerarchico, che implica la “cura delle anime”.
L’Avvio alla formazione del diaconato permanente è ampiamente indicato dai documenti del Magistero della Chiesa. Nel Motu proprio Ad pascendum, il papa ribadisce la competenza delle Conferenze Episcopali per la formazione [1].
La CEI ha stabilito tre criteri:
- i candidati devono essere presi da ogni classe sociale e da ogni professione civile compatibile con l'ufficio diaconale[2];
- dai candidati si richiede una cultura media dell'ambiente nel quale si troveranno a lavorare e una preparazione specifica secondo lepossibilità offerte a ciascuno dalle condizioni di famiglia e di lavoro[3].Una differenziazione dei livelli di preparazione culturale molto chiara;
- non si richiede al diacono una cultura che ne faccia uno specialista, piuttosto, un competente al di sopra del semplice catechista e una formazione in qualche modo, analoga a quella del sacerdoti[4].
Da quanto emerso, sembra che occorra stabilire una duplice via lungo la quale deve svilupparsi una formazione teologico-culturale dei diaconi: una via istituzionale, comune a tutti i candidati, di cui è responsabile l'Istituto per l'iniziazione ai Ministeri[5]; e una via personale, affidata alla coscienzaresponsabile dei singoli candidati, ma osservata attentamente dall'Istituto. In altri termini, i candidati al diaconato permanente devono anche sviluppare le condizioni per svolgere particolari funzioni che il vescovo o il parroco potranno affidare o che nell'ambito in cui operano richiede peculiari personali capacità[6].
[1] Cfr. PAOLO VI, lettera apostolica Ad pascendum, 15 agosto 1972, n. VIIb (d’ora in avanti, abbreviata in AP).
[2] Cfr. RD, n. 32.
[3] Cfr. RD, n. 37.
[4] ON, n. 29.
[5] I contenuti che si dovranno prendere in considerazione sono:
- a. l'introduzione alla Sacra scrittura e alla sua retta interpretazione; la teologia dell'Antico e del Nuovo Testamento; l'interrelazione tra Scrittura e Tradizione; l'uso della Scrittura nella predicazione, nella catechesi e nell'attività pastorale in genere;
- b. l'iniziazione allo studio dei Padri della Chiesa e una prima conoscenza della storia della Chiesa;
- c. la teologia fondamentale, con l'illustrazione delle fonti, dei temi e dei metodi della teologia, la presentazione delle questioni relative alla Rivelazione e l'impostazione del rapporto tra fede e ragione, che abilita i futuri diaconi ad esprimere la ragionevolezza della fede;
- d. la teologia dommatica, con i suoi diversi trattati: trinitaria, creazione, cristologica, ecclesiologica e ecumenismo, mariologia, antropologia cristiana, sacramenti (specialmente la teologia del ministero ordinato), escatologia;
- e. la morale cristiana, nelle sue dimensioni personali e sociali, e in particolare la dottrina sociale della Chiesa;
- f. la teologia spirituale;
- g. la liturgia;
- h. il diritto canonico.
Cfr. NFFDP, n .81.
[6] I criteri che si devono seguire sono :
- a. la necessità che il diacono sia capace di rendere conto della sua fede e maturi una viva coscienza ecclesiale;
- b. l'attenzione che egli sia formato ai compiti specifici del suo ministero;
- c. l’importanza che acquisisca le capacità di lettura della situazione e di un’adeguata inculturazione del vangelo;
- d. l'utilità che conosca tecniche di comunicazione e di animazione delle riunioni, come pure che sappia parlare il pubblico, che sia in grado di guidare e consigliare.
Cfr. NFFDP. n. 80.
Formazione pastorale.
La formazione pastorale si sviluppa come riflessione sulla Chiesa nel suo edificarsi quotidiano, essa “avrà un’attenzione particolare ai campi eminentemente diaconali, quali:
- a. la prassi liturgica: l'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali, il servizio all'altare;
- b. la proclamazione della Parola nei vari contesti del servizio ministeriale: Kerigma, catechesi, preparazione ai sacramenti, omelia;
- c. l' impegno della Chiesa per la giustizia sociale e la carità;
- d. la vita della comunità, in particolare l'animazione di équipes familiari, piccole comunità, gruppi e movimenti, ecc. [1].
In concomitanza all'insegnamento della teologia pastorale, per ogni candidato al diaconato permanente si deve prevedere un tirocinio pratico, che gli permetta un riscontro, una verifica di quanto ha appreso nello studio che deve essere progressivo, differenziato e continuamente verificato. Uno studio che faccia maturare nel candidato la sensibilità missionaria[2].
Formazione permanente.
La formazione permanente dei diaconi non si esaurisce con l'iter formativo all'ordinazione, ma diventa “un’esigenza che si pone in continuità con la formazione iniziale, la integra, la custodisce e la approfondisce”[3]. Essa deve svilupparsi tenendo presente:
- a. l’aspetto personale di ogni diacono, che deve avvertire l'esigenza di un affinamento della propria spiritualità, delle modalità di esercizio delle sue funzioni ministeriali, delle conoscenze che ha acquisito e che vanno integrate e approfondite. L'esperienza pastorale lo aiuta a cogliere le sfide che vengono lanciate alla pastorale e alla Chiesa dal mondo contemporaneo; egli deve capirle e rispondervi. Meditazione, letture, studio devono trovare spazio nella vita del diacono, come processo di continua conversione, che lo coinvolge nella sua totalità di persona consacrata dal sacramento dell'Ordine.
- b. l’aspetto della Diocesi, la quale, in proprio o attraverso l’istituto per la iniziazione ai Ministeri, deve prendere opportune e non episodiche o approssimative iniziative per la formazione permanente dei diaconi, per il loro aggiornamento ascetico, biblico, liturgico, teologico, metodologico, amministrativo, socio-culturale, avendo cura di diversificare tali iniziative in rapporto alle diverse capacità recettive e alla diversa destinazione pastorale dei diaconi[4].
Le esigenze teologiche della chiamata ad una singolare missione di servizio ecclesiale richiedono al diacono un amore crescente per la Chiesa e per i suoi fratelli, egli è stato scelto da Dio per essere
[1] NFFDP, n. 86.
[2] Cfr. NFFDP, nn. 87-88.
[3] ON, n. 51.
[4] PIGNATIELLO M.L., La formazione del diacono, in Nuova Stagione, 41(1988) p. 14.
[5] Cfr. DMDP, n. 64.
continuamente ravvivata, proprio perché la missione evangelizzatrice esige dai ministri una formazione che deve estendersi a tutti gli aspetti della loro vita[1].
I responsabili della formazione dei diaconi permanenti.
Dai documenti del Magistero viene affermato che il vescovo è il “supremo responsabile, sia della scelta come della formazione di coloro che il popolo di Dio esprime quali candidati al diaconato”[2], che a lui “competono la responsabilità e l'autorità per l'ammissione dei candidati al diaconato, per la loro preparazione, per l'esercizio dell'Ordine”[3].
Fino ad oggi, la responsabilità della formazione gravava sul delegato arcivescovile anche se collaborato da altri sacerdoti e diaconi per la parte spirituale-pastorale. Secondo le norme fondamentali[4], viene istituita una struttura che prevede diversi incarichi, che fanno capo al direttore della formazione, il quale può essere un presbitero o un diacono e, preferibilmente, non essere allo stesso tempo anche il responsabile per i diaconi ordinati. Infatti, è auspicabile che le due funzioni: quella del responsabile di diaconi (il delegato vescovile) e quella del direttore di formazione siano distinte. I compiti del direttore della formazione sono:
- coordinare le varie persone impegnate per la formazione;
- presiedere e animare tutta l'opera educativa;
- tenere i contatti con le famiglie e le comunità degli aspiranti e candidati;
- presentare al vescovo il giudizio di idoneità sugli aspiranti e i candidati[5].
Un'altra figura responsabile per la formazione è il tutore, che può essere un presbitero o un diacono di provata esperienza, designato dal direttore per la formazione e nominato dal vescovo. I compiti del tutore sono così designati:
-è accompagnatore diretto di ogni singolo aspirante e di ogni candidato;
-segue da vicino il cammino di ciascuno, offrendo sostegno e consiglio;
-collabora con il direttore per la formazione nella programmazione dell'attività formativa e nell'elaborazione del giudizio di idoneità da presentare al vescovo;
-svolge questi compiti nei confronti di singoli e di gruppi di candidati al diaconato[6].
Quest'aspetto interpersonale è originale e rappresenta una novità nell'ambito della formazione diaconale.
Un importante ruolo per la formazione del diacono l’assume il direttore spirituale, un presbitero di profonda spiritualità e cultura teologica, approvato dal vescovo che abbia i seguenti compiti:
-discernere l'opera interiore che lo Spirito compie;
-accompagnare e sostenere la continua conversione;
-dare concreti suggerimenti per la maturazione di un’autentica spiritualità diaconale[7].
Tra gli incaricati della formazione infine vi è il parroco o altro ministro, scelto dal direttore per la formazione d'accordo con l'équipe formativa i cui compiti sono:
-introdurre ed accompagnare il candidato nelle attività pastorali ritenute più idonee (sotto l'aspetto pratico è importante questo passaggio in quanto aiuta il candidato ad inserirsi in quell'attività pastorali che sono più confacenti alla sua cultura, al suo temperamento, alla sua indole, alla sua vocazione e al suo carisma);
-verificare periodicamente l'attività svolta dal candidato;
[1] Terza conferenza generale Episcopato Latino-Americano Puebla, Il messaggio della Speranza, Roma 1979, n.719.
[2] SF, n. l.
[3] RD, n. 28.
[4] Il documento NFFDP parla dei protagonisti della formazione dei diaconi, questa parte è rivoluzionaria rispetto al precedente documento “Orientamenti e norme” del 1993.
[5] Cfr. NFFDP, n. 21.
[6] Cfr. NFFDP, n. 22.
[7] Cfr. NFFDP, n. 23.
-comunicare l'andamento del tirocinio al direttore per la formazione[1].
In conclusione il responsabile della formazione deve essere un confratello qualificato per la testimonianza della vita, per la capacità di dare opportuni e puntuali consigli, deve aiutare il candidato a compiere scelte responsabili e ben motivate.
CONSIDERAZIONI
Bisogna considerare che i documenti ecclesiastici dicono che il parroco è:
- il pastore proprio della parrocchia che esercita la cura pastorale sotto l’autorità del vescovo… (Codex Iuris Canonici, Roma 1983, c. 519);
- colui che ha, come compito proprio, l’annuncio del vangelo (c. 757);
- il catechista di tutti i parrocchiani, adulti, giovani e fanciulli (cc. 776 e 777);
- il custode dell’integrità della parola di Dio (c. 528);
- il responsabile delle famiglie, dei poveri, degli afflitti, del lavoro apostolico dei laici (c. 529);
- ministro del battesimo, del viatico… (c. 530);
- l’ordinatore della liturgia (c. 528);
- il responsabile della formazione dei fidanzati (c. 1063);
- il titolare che può delegare il diacono per l’assistenza ai matrimoni (c. 1111);
- ecc. ecc.…
Da tutto ciò si evince che il parroco, nell’ambito del territorio parrocchiale, è il soggetto principale di tutta la pastorale. Egli si può avvalere della collaborazione di altri suoi confratelli sacerdoti e della collaborazione del diacono, assegnatogli dal vescovo, come pure dell’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto (c. 519).
PROSPETTIVE
Giovanni Paolo II nel discorso fatto ai diaconi italiani il 15 marzo 1985 ha affermato: il diacono nel suo grado personifica Cristo Servo del Padre, partecipando alla triplice funzione del Sacramento dell’Ordine (...) contribuisce a far crescere la Chiesa come realtà di comunione, di servizio, di missione [2] .
Il diacono, nel suo grado, personifica Cristo, chiunque ha ricevuto il sacramento dell'Ordine personifica Cristo: questo vale per il vescovo, per il presbitero, per il diacono. Il papa, inoltre, aggiunge che il diacono contribuisce a far crescere la Chiesa come realtà di comunione, di servizio, di missione. Questo è possibile gradualmente, un po’ alla volta, attraverso piccole esperienze che determinano con il tempo cambiamenti di coscienza, di riflessione, di azione. Il messaggio di papa Giovanni Paolo II, trova concretezza in un passo del documento della CEI ‘Evangelizzazione e ministeri’: “il diacono concorre a costruire la Chiesa”[3].
Questo è l'aspetto teologico di questo passo: concorre a costruire la Chiesa, ed essa senza il diaconato avrebbe qualcosa in meno. Il diacono, dunque, contribuisce a dare un’immagine più completa e più rispondente al disegno di Cristo, in una società che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa.
Poiché il diacono è chiamato ad esercitare questa fermentazione evangelica e caritativa, in quanto ha qualcosa di diverso che lo rende più vicino alla gente, lo stato civile, egli partecipa ancora più direttamente e concretamente ai problemi, alle angosce, alle attese, alle prove della gente in quanto le vive e ne è coinvolto in prima persona.
[1] Cfr. NFFDP, n. 24.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione ai diaconi permanenti, 16 marzo 1985, in Insegnamenti VIII/1 (1985), p.649.
[3] EM, n.60.
Per questa sua condizione, certamente, anche il diacono deve essere considerato un protagonista nella Chiesa, figura preminente di frontiera.
L’azione del diacono, quindi, diventa l’azione della Chiesa, modello per altri.
La Chiesa si scopre come se stessa nell’azione pastorale, si edifica quando agisce.
Giovanni Paolo II al II Convegno ecclesiale, tenutosi a Palermo il 23 novembre 1995 ha detto: “il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente, ma della missione”[1]. Non c’è dubbio che tali parole hanno di mira la salvezza dell’uomo in qualsiasi ambiente si trovi, analizzando l’attuale prassi pastorale, eliminando le barriere difensive a fronte di una cultura moderna (individualistica, consumistica, materialistica), superando l’opera di tamponamento per la conservazione dell’esistente nella fedeltà del mandato missionario. Il pontefice, subito dopo aggiunse: “è il tempo di proporre di nuovo, e prima di tutto, Gesù Cristo, il centro del vangelo”[2]. E’ ovvio che bisogna riscoprire la figura di Gesù Cristo, liberandola da tutto ciò che ne ha offuscato i tratti, facendone perdere la sua originalità, la sua novità. Da ciò nasce l’esigenza della riscoperta di una cultura della carità che investa tutta la comunità che ne è il soggetto testimoniale. Gesù prima di ascendere al cielo disse ai suoi: “andate (…) io sarò con voi tutti i giorni”[3], oggi più che mai è necessario scoprire e vivere questa missionarietà, come superamento della pastorale dell’ovile, della conservazione dell’esistente: occorre uscire dal tempio percorrendo le strade del mondo, incontrando l’uomo nella sua specifica e reale condizione di vita, toccando con mano le varie povertà prima nel fare e poi nel parlare.
Oggi viviamo gli ultimi tempi di una cultura che mostra tutti i segni del tramonto: la cultura del presbitero centro di riferimento, che tutto sa e tutto fa, mentre si va affermando la cultura della distribuzione dei ruoli, che può essere frammentazione se non si ha la capacità di attuare un cambiamento nel rispetto e nella promozione di ministeri e carismi nella Chiesa, trasformazione da una pastorale statica a dinamica, da unidimensionale a pluridimensionale. Da questa staticità anche la comunità ecclesiale è condizionata in quanto non ha ancora recepito senso e funzioni del ministero diaconale e laicale, segnata com'è ancora da un forte clericalismo alimentato da presbiteri tuttofare. Si auspica l'umiltà di un cambiamento di mentalità, che faccia orientare vescovi e sacerdoti ad esercitare il "ministero ordinato al servizio della crescita della coscienza diaconale o ministeriale di tutti, una crescita attenta in modo però che la collaborazione richiesta non sia mai scissa da un'adeguata corresponsabilità, né sia ridotta a pura e semplice manovalanza" [4];
La Costituzione dogmatica Lumen gentium[5], elenca i ministeri propri del diacono, mette in evidenza che non è un semplice collaboratore del parroco, pur considerando che egli deve necessariamente integrarsi con il ministero presbiterale, per quanto concerne i sacramenti importanti e necessari per la vita di una comunità cristiana, cioè l’Eucaristia e la Riconciliazione. Il testo continua affermando che i diaconi sono istituiti per "la cura delle anime"[6] si aprono nuovi orizzonti per il ministero presbiterale, da non considerarsi più come prevalentemente "staziale", ma "peregrinante" da una comunità all'altra per lo svolgimento dei ruoli propri, e poiché “la cura delle anime" viene affidata al diacono, si potrebbe avere una consistenza pastorale nella promozione di tante piccole comunità che formano la "comunione di comunità". Il diacono può "sollevare i presbiteri da funzioni e preoccupazioni che non sono proprie, contribuendo così a rendere più autentico il ministero presbiterale"[7]. Un ministero diaconale squisitamente missionario che investe i momenti più delicati dell'azione pastorale, quella della preevangelizzazione (servizio di carità) e dell'evangelizzazione, che apre la strada a quello del presbitero e del vescovo e crea le condizioni perché nasca una comunità cristiana a dimensione umana, è un ministero di prima linea, da
[1] III Convegno ecclesiale (discorso di Giovanni Paolo II), 23 novembre 1995, in Il Regno, 21(1995) p.668, n. 2.
[2] Ibidem.
[3] Mt. 28,19.
[4] Cfr. MARINELLI F., Sacramento e ministero, tra teologia e pastorale, Casale Monferrato (AL) 1990, pp.13-14
[5] LG, n.29a.
[6] LG, n.29b.
[7] RD, n.18.
pioniere[1], che “aiuta gli altri a riconoscere e valorizzare i propri carismi e le proprie funzioni nella comunità. In tal modo egli promuove e sostiene le attività apostoliche dei laici”[2].
Poiché il diacono non può fare tutto da solo, significativo potrebbe essere l’istituzione di un gruppo itinerante, una équipe formata da accoliti, lettori, ministri straordinari della comunione, semplici fedeli, che in comunione, diventano presenza e compagni di viaggio alleviando la sofferenza altrui che successivamente il presbitero verifica e conferma.
E’ auspicabile promuovere:
Il“ripristino della cultura della mobilità: mobilità geografica e topografica, cui esistono grosse resistenze nel ministero ordinato: mobilità mentale per l’aggiornamento costante dei contenuti, dei metodi e dei linguaggi dell’azione pastorale; mobilità ambientale, che porta ad uscire dal tempio per affrontare le strade per ricercare non solo chi è andato via dall’ovile, ma anche quelli che mai appartennero all’ovile di Gesù Cristo” [3];
Curare la vita interiore del diacono.
E’ molto facile che in una società complessa viga una spiritualità individualistica, non cristiana. La spiritualità cristiana esige un processo di santificazione, per capire, testimoniare e promuovere la sacramentalità dell’unità. L’unità è sacramento, cioè segno sensibile di questa verità[4]. Non più un cristianesimo individualista, solo con Dio, ma una dimensione di comunione attraverso la conversione personale. Non è difficile dire che oggi si è persa la capacità contemplativa, facendoci diventare tutti pragmatici.
Bisogna che il diacono coltivi il proprio spirito, si nutra quotidianamente dell’Eucaristia, che pratichi la Confessione e la direzione spirituale, che abbia nella giornata momenti di preghiera per la contemplazione. La preghiera cristiana è celebrazione della gloria di Dio, è gratitudine. La vita come preghiera, come azione sacra diventa offerta continua della lode, del ringraziamento, della riparazione, dell’impetrazione. Cosa buona è mantenersi intellettualmente allenati. Importanti sono gli esercizi spirituali, come momenti per coltivare il proprio spirito, come verifica di cosa è successo, come tappa di sviluppo. Considerando che il diacono deve vivere tutto questo, si chiede ai vescovi di tutelare il patrimonio spirituale del diacono, affinché non venga disperso. Non è la prima volta che si sente: “i diaconi appena ordinati (…) vengono abbandonati a se stessi” [5], oppure “nelle crisi non si interviene tempestivamente e, a volte, lo si fa asetticamente, quasi che il superiore, invece che un padre, fosse un semplice notaio della crisi”[6]. Il diacono non appartiene più a se stesso, è frutto dell’Amore di Dio, patrimonio della cristianità, dovrà rendere conto del proprio apostolato e dovrà trovare presso il proprio istituto diaconale, confratelli maturi che lo aiutino a superare i momenti di crisi.
Grazie.
Pompei, 30 maggio 2003
Gaetano MARINO
[1] Cfr. PIGNATIELLO M.L., Questi diaconi permanenti non riescono a sfondare. Un difficile ripristino nella pastorale italiana, in Il diaconato in Italia, 70(1988) pp. 27-33.
[2] RD, n.26.
[3] PIGNATIELLO M.L., Il vangelo della carità fonte di cultura e lievito di ogni civiltà. Convegno delle chiese della Basilicata Policoro (MT), 21-23 novembre 1996, dattiloscritto, p.14.
[4] Cfr. Gv. 17.23.“Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me”.
[5] SEPE C., Il diaconato …, art. cit., in Notitiae, 9(1994) p. 485; Cfr. PIGNATIELLO M.L., A proposito di diaconi permanenti, in Nuova Stagione, 18(1988) p.11.
[6] SEPE C., Il diaconato …, art. cit., in Notitiae, 9(1994) p. 485.