LO STATO DEL DIACONATO NELLA CHIESA ITALIANA - Pag. 4

valido accompagnatore nel discernimento vocazionale e nel cammino formativo, ma anche capace di animare una seria pastorale vocazionale (annuncio, proposta ed accompagnamento). Manca, dunque, una formazione adeguata. L'esperienza insegna che il delegato deve poter contare su una certa stabilità (non si può cambiare frequentemente il delegato), per poter espletare il suo mandato con serenità. È auspicabile allora che il delegato sia a tempo pieno. Capisco che questo auspicio è irrealizzabile. Credo, comunque, che i vescovi debbano scommettere un po' di più.
L’identità ministeriale del diaconato
a) A servizio nella comunione
Negli ultimi decenni la comprensione dell’identità e dei compiti ministeriali del diacono dentro la Chiesa italiana ha gradualmente acquisito una buona considerazione, specialmente a livello culturale, e di conseguenza un crescente consenso da parte di molte comunità, anche se questi risultati non sono condivisi in pari misura da ogni Chiesa locale. Le differenze visibili nel diaconato italiano derivano non solo dalla diversità socio-economica delle singole aree – il nord e il sud del paese hanno conosciuto negli anni uno sviluppo sociale ed economico del tutto differente, con il sud rimasto fuori dal processo di industrializzazione e tenuto al di sotto degli standard nazionali di vita –, ma anche dalle diverse concezioni teologiche – sia nella teoria che nella pratica – di questo ministero, che conseguentemente portano ad altrettante forme di realizzazione del diaconato.
Negli anni del dopo Concilio, c’erano in Italia poche comunità ecclesiali e pochi teologi interessati a rispondere alle questioni di fondo sul significato, sull’identità e sulle funzioni del ministero diaconale. Dopo un’assenza di quindici secoli, di fatto la restaurazione del diaconato permanente poteva risultare una decisione problematica, e in ogni caso ci si aspettava che sollevasse questioni e stimolasse riflessioni o, almeno, che innescasse reazioni vivaci.
In alcune comunità, tuttavia, fu possibile registrare un interesse fruttuoso ed un deciso impegno a capire ed approfondire la grazia che la diaconia ministeriale rappresenta di fatto per l’intera Chiesa. Da queste comunità venne il maggior contributo ad una rinnovata lettura e comprensione del dettato conciliare sulla restaurazione del diaconato. Ne è prova il buon livello di molti documenti pubblicati dalle chiese locali nel corso degli anni. In questi anni, però, abbiamo spesso registrato un evidente divario tra le linee programmatiche da un lato e le scelte pastorali dall’altro, che ha portato ad una prassi ministeriale eterogenea in ragione di una visione ecclesiale del diaconato che potremmo definire in certa misura “oscillante”. In altre parole, alcuni tendevano a ricollocare i diaconi dentro lo stato laicale di tutto il popolo di Dio, sottolineando con forza la loro peculiare distinzione sia dai presbiteri che dai vescovi; dall’altro lato, altri volevano implementare la presenza e la considerazione dei diaconi riportandoli dentro una visione strettamente clericale che finiva per risultare disagevole e carica di nuove conflittualità. Inoltre, alcune chiese ed alcuni vescovi, meno interessati ad approfondire o tutelare l’originalità dell’identità diaconale, cercavano spesso di “impiegare” i propri diaconi solo per rispondere a taluni bisogni pratici della Chiesa locale, sottovalutando così l’identità sacramentale del ministero in cambio di un “profitto” immediato al livello pastorale. La conseguenza di tali scelte è stata una discontinua programmazione e realizzazione del diaconato, con iniziative non sempre omogenee davanti alle quali il ministero stesso corre il rischio di essere primariamente forgiato secondo un bisogno pastorale contingente anziché in coerenza con la sua dimensione originaria di servizio della/alla Chiesa. E si deve ammettere che il lavoro dei teologi in Italia ha spesso mancato di cogliere l’importanza di tali tendenze.
b). ….. e nella carità
Negli anni sessanta, le folgoranti pagine del Concilio Vaticano II sulla povertà avevano prodotto una forte impressione su molti cristiani: scoprire che la Chiesa, proprio davanti ai poveri, si confessava, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, bisognosa di perdono, perché si riconosceva infedele all'esempio normativo del suo sposo e Signore, era stata un'occasione di ripensamento salutare quanto mai forte. I diaconi, come il Vaticano II li aveva pensati e voluti, dovevano congiungere nelle loro vite servizio liturgico e impegno caritativo, eucaristia e diaconia dei poveri. E questo dovevano operare nella quotidianità di una esistenza cristiana unificata che doveva portare,